Da grande voglio fare il freelance

Foto: Danila D'Amico
Foto: Danila D’Amico

Essere un freelance è un po’ come essere un imprenditore. Devi essere creativo, pronto al sacrificio e inventarti ogni giorno un nuovo modo per rinnovarti. La tua carta vincente sarà la professionalità e la qualità, ma non sempre ne potresti ricevere in cambio dei soldi, anzi.

“Le collaborazioni gratuite non mi pagano l’affitto”, dice Alessandro Accorsi, giornalista che ha fondato Zeer News, un’agenzia di freelance che produce contenuti in varie lingue. Accorsi, che vive al Cairo dal 2012, riassume in una battuta il senso del panel dal titolo Da grande voglio fare il freelance. Perché i freelance sono la colonna portante dell’industria dell’informazione, ma la loro professionalità in Italia ancora non ha ottenuto il riconoscimento che merita. “Zeer News – spiega Accorsi – è un collettivo di freelance che hanno deciso di unirsi per lavorare come una vera redazione e sostenersi. Produciamo diversi tipi di contenuti giornalistici in italiano, inglese, francese e spagnolo. Essere indipendente per me significa saper fare mille cose, ma averne una in particolare che ti caratterizza e ti rende riconoscibile. Significa essere sempre reperibile e lavorare molto”.

“Ci sono molte difficoltà per noi italiani che all’estero non hanno  – racconta Barbara Schiavulli, corrispondente di guerra e scrittrice – quando parto non ho una redazione che mi può sostenere nelle spese. Tutto quello che guadagno arriva dalla vendita dei pezzi, scrivendo per molte testate contemporaneamente. Ora devo fare i conti con i tagli che stanno facendo e quindi ho ridotto il mio lavoro all’estero, ci sono meno soldi e quindi viaggio meno. Mi appoggio magari a colleghi e ho deciso di provare l’esperimento del crowdfunding per autofinanziare i miei reportage. Ho lavorato molti anni come freelance, ho fatto carriera, ma non mi hanno mai proposto di entrare in redazione. Per un po’ ci ho sperato, ma ho capito che per i giornali è conveniente la mia autonomia”.

Un’altra storia è quella di Lou Del Bello. Dopo molti anni come freelance in Italia, Del Bello ha deciso di ribellarsi alla vita di professionista sottopagato e maltrattato, cambiando paese e lingua: “Ho fatto una promessa, adesso non scrivo più in italiano, né collaboro con quotidiani italiani. Ho preso tutto e mi sono trasferita a Londra dove lavoro stabilmente. L’industria dell’informazione in Italia si regge solo perché ci sono i freelance che vengono trattati come schiavi. Questo all’estero non avviene; in Gran Bretagna – prosegue – i giornalisti autonomi sanno dire di no quando le condizioni di lavoro (e i compensi) non sono all’altezza della loro professionalità. In Italia questo non succede perché le persone non sanno di avere un potere di contrattazione e quindi dicono sempre di sì, anche quando offrono loro pochi euro per un pezzo”.

Tra i relatori c’era anche Valerio Bassan, giornalista, autore e documentarista di stanza a Berlino. Dopo il master in giornalismo e uno stage a Linkiesta ha deciso di spostarsi nella capitale tedesca, affascinato dalla vita frenetica e creativa di questa città. Qui ha fondato Il Mitte, il primo quotidiano online per italofoni.
“Sono partito nel 2012 senza sapere bene cosa avrei fatto – racconta Bassan – ho scoperto poi che gli italiani a Berlino erano più di 20mila e che c’erano moltissimi blog in italiano. Ho deciso quindi di far nascere Il Mitte con l’intento di rispondere a tutte quelle domande che un italiano si poteva porre trasferendosi in città. L’ottica è di un giornale locale ma con uno sguardo glocal perché alla fine Berlino in questo momento storico è al centro dell’attenzione europea”.

Ma come si sostiene un giornale del genere? “Siamo partiti senza soldi, ma con un’idea forte. Ora vendiamo pubblicità, articoli brandizzati e abbiamo 100mila utenti unici al mese. È già un piccolo risultato, perché abbiamo attirato l’attenzione dei media tedeschi e italiani. Ma io – conclude – comunque mi mantengo grazie alle collaborazioni con giornali italiani, come Wired e Pagina99”.

Giulia Perona
@GiuliaPerona