ISIS, propaganda del terrore e contronarrazione: quale strada per i media occidentali?

Al Teatro Sapienza di Perugia, in occasione del IX Festival Internazionale del Giornalismo, si svolge il panel “I media occidentali alle prese con la propaganda del terrore”. All’evento, moderato dalla direttrice di SkyTg24 Sarah Varetto, sono presenti Lucio Caracciolo, direttore della rivista di geoopolitica Limes, Giovanni Maria Vian, direttore del quotidiano della Santa Sede Osservatore Romano, e Paolo Scotto di Castelbianco, responsabile per la comunicazione istituzionale del DIS (Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza).

Varetto comincia con una premessa, relativa alla sua scelta editoriale, lo scorso agosto 2014, di non trasmettere su SkyTg24 il video della sgozzatura di James Foley da parte del fighter poi ribattezzato Jihadi John. “Non è necessario condividere l’orrore per arrivare a condannarlo”: questo il pensiero dietro la decisione di mostrare solo un frame e di “non farsi grancassa della propaganda dell’orrore”. Varetto passa quindi la parola a Scotto di Castelbianco sulle modalità di comunicazione scelte dall’ISIS. Secondo l’esperto, la forza comunicativa dello Stato Islamico è quella di individuare una vasta gamma di interlocutori, fatta di nemici da spaventare, amici potenziali, e leve reclutabili, come ad esempio gli immigrati di seconda e terza generazione. Questi ultimi sono bombardati di messaggi semplici, netti, potenti, tramite mezzi anche innovativi per una organizzazione terroristica (Al-Qaeda, invece, si affidava totalmente ai media tradizionali). Inoltre, Scotto di Castelbianco mette in evidenza la capacità anche tecnica e narrativa dei comunicatori dell’ISIS: il magazine Dabiq, ad esempio, è da questi prodotto con grande cura.

Vian, invece, giudica la strumentalizzazione della religione “sconvolgente”, e ricorda lo sforzo del papa emerito Benedetto XVI, già nel 2005, per spingere i musulmani a unirsi “con razionalità” contro ogni fondamentalismo. A questo punto la Varetto introduce un elemento di autocritica nei confronti dei media occidentali, riferendosi alle parole del direttore di France24 che giudicò l’ISIS un “nemico da combattere” anche per i giornalisti. Caracciolo afferma che è forse proprio nella nostra mitizzante enfasi ed eccessiva semplificazione del messaggio dell’ISIS che risiede il grande successo e la pericolosa attrattività di “un marchio perfetto, che si richiama a un Islam delle origini, quindi puro, ma soprattutto a un Islam vincente”. La critica del direttore di Limes si fa anche geopolitica – quando nota che l’azione dell’ISIS è anche basata sul contrabbando, e che molti dei prodotti che noi stessi utilizziamo in Occidente vengono proprio da lì – e militare, quando riconosce che l’Iran e i curdi hanno fatto molto più di “noi”, nonostante la nostra grande indignazione vocale. Infine, Caracciolo fa un’osservazione anche sulla rappresentazione che dell’ISIS fanno i media occidentali: “Appaiono più di quanto sono davvero”.

DSC_0061

La parola torna a Scotto di Castelbianco, che nota come i comunicatori dell’ISIS siano molto efficaci narrativamente ancora più che tecnicamente, poichè cercano con successo, “goebbelsianamente”, di riempire tutti gli spazi, lanciando, rilanciando, facendoci rilanciare, retwittare, spaventare. Poi una critica a quei media e quei giornalisti che si avventurano nella rete facendosi ingannare da contenuti vecchi o falsi che, condivisi, alimentano il buzz del terrore.

E a proposito di come affrontare la propaganda del terrore, Vian usa la parola “sobrietà”, principio da adottare nei confronti delle immagini diffuse dall’ISIS, proprio in un’era in cui l’immagine, grazie prima alla TV e poi ai social, è addirittura prevalente rispetto allo scritto, e la parola “preparazione”, unico mezzo per comprendere, interpretare, contrastare la propaganda dell’ISIS, e costruire una nuova narrativa. Senza preparazione, secondo il direttore dell’Osservatore Romano, rischiamo di trasformare la già tragica espressione di Samuel Phillips Huntington, scontro di civiltà, in un ancora più devastante “scontro di ignoranze”.

Il problema allora è capire come raccontare al meglio l’ISIS. Quando Varetto afferma che per farlo “bisogna avere la possibilità di guardare”, Caracciolo fa notare che si deve distinguere l’immediatezza della cronaca dalla verità in senso assoluto, e che un obiettivo racconto delle zone di guerra è piuttosto una contraddizione in termini. Quello del direttore di Limes è un appello alla profondità, alla scoperta del contesto, delle radici storiche, lavorando anche su ogni chance di avere “voci dal di dentro”: “Il comunismo ha cominciato a perdere presa quando ci sono stati gli apostati, quando proprio da lì è cominciato ad arrivare il racconto di un Dio – la dottrina comunista, in quel caso ndr – che aveva fallito”.

Tornando agli effetti collaterali della propaganda del terrore, Varetto fa notare il rischio di imbarbarimento anche dall’altra parte della barricata, da parte di chi cerca di fare contropropaganda. L’ultimo esempio è il video pubblicato dai combattenti curdi in cui si vede una bambina con una mitragliatrice automatica felice di aver ucciso “400 nemici”. Scotto di Castelbianco afferma che, proprio per questo motivo, l’Occidente non deve fare “contropropaganda”, ma costruire una contronarrazione. Poi lancia una provocazione rivolta ai media: “Sono sempre esperti gli esperti che vengono chiamati ad espertizzare qualcosa?”.

Una domanda del pubblico verso la fine del panel offre l’occasione a Caracciolo di puntualizzare che “noi non siamo i primi nemici dell’ISIS. Prima vengono gli sciiti, cioè i musulmani infedeli, al secondo posto i sauditi, in quanto intestatari della statualità islamica da riconquistare, e solo al terzo ci sono i crociati, cioè noi”.

A chi chiede se sia opportuno inviduare ed eventualmente censurare siti e account jihadisti, invece, Scotto di Castelbianco risponde che è praticamente impossibile, e quindi un enorme spreco di risorse di intelligence, oltre che poco preferibile limitare libertà sul web. L’ultima domanda posta dal pubblico è sul caso Jihadi John, l’ormai celebre “sgozzatore” che si scoperto essere un cittadino britannico di origini del Kuwait: Caracciolo spiega che la grande attrazione dell’ISIS consta nell’idea escatologica di salvare il mondo, e che non è un caso che alcuni dei “reclutati” non siano neanche musulmani, ma atei, cristiani, ebrei, in rotta di collisione con un Occidente che perde la sua forza attrattiva. “Quello dell’ISIS è fenomeno che dice molto di noi stessi”, conclude il direttore di Limes.