Nessuno può fermarmi

“Dalla prua, un’ultima pioggia di corpi fu scaraventata in mare prima che la nave sparisse con un rumore terrificante, inghiottita dall’oceano, alzando una colonna d’acqua gigantesca e un’onda formidabile che risucchiò tutto quanto era a portata. Poi ci fu silenzio.”

Il naufragio dell’Arandora Star del 2 luglio 1940 è la pagina di storia contemporanea attorno a cui ruota “Nessuno può fermarmi“, il romanzo edito Feltrinelli della giornalista Caterina Soffici.

La sua genesi, il suo sviluppo e le inaspettate scoperte che esso cela sono stato oggetto di uno degli eventi della prima giornata del Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia.

Ad affiancare l’autrice c’era Marino Sinimbaldi, direttore Radio 3.

Sinimbaldi apre il panel ricordando come tanti romanzi prendano le mosse da eventi reali, spesso definiti “piccoli fatti ai margini, piccole figure trascurate dalla grande Storia”.

Ma ciò che viene qui raccontato non è un fatto ai margini, piuttosto “un enorme fatto storico” poco conosciuto. Il naufragio dell’Arandora Star è la morte di 446 prigionieri italiani, tutti civili, emigrati a Londra in cerca di fortuna o di libertà – 446 persone, uomini e donne presi e caricati su una nave da crociera di lusso, trasformata in nave di prigionia. “Questo perché gli italiani, dopo l’ingresso del nostro paese in guerra il 10 Giugno 1940, hanno smesso di essere i membri di una comunità ben integrata e sono diventati sospetti pericolosi nemici, complici del fascismo, ve sono stati per questo internati”, spiega Sinibaldi.

L’Arandora Star non era infatti destinata a portare a termine il suo viaggio, ed è stata silurata da un sottomarino nazista al largo delle coste della Scozia.

Come mai la memoria di quel giorno sembra essere stata dimenticata dai più?

Secondo Caterina Soffici la storia tende a conservare solo la memoria di chi appartiene a qualcuno, mentre quei morti non appartenevano a nessuno, erano “gli italiani venuti dal mare”, le cui identità, però, si sono conservate nella memoria dei sopravvissuti. Lo testimoniano la mole delle fonti alle quali l’autrice ha potuto attingere nella fase di documentazione per la stesura del libro, storie eccezionali in cui davvero la realtà supera la fantasia.

Da questi frammenti è nato un romanzo popolare civile, in cui le vicende di una famiglia diventano le voci corali di tutti coloro che quel giorno non ce l’hanno fatta. Un romanzo su migrazione, guerra, comprensione del diverso e paura dell’altro, in cui verità, finzione letteraria ed espediente romanzesco si mescolano restituendo un affresco ricco e sfaccettato della Little Italy londinese.

La stessa autrice ha ammesso di aver inserito, accanto alla costruzione immaginaria degli amori silenti e segreti che mettono in moto la macchina narrativa, cammei di personaggi ed eventi reali, trovati sfogliando i documenti che raccontano quanto accadde intorno a quel tragico evento del 2 luglio 1940.

Il materiale raccolto bastava a riempire le pagine di un romanzo, ma le vesti romanzesche hanno permesso che gli eventi si caricassero di forte pathos, che porta il lettore contemporaneo ad immedesimarsi con gli italiani del passato.

Questo romanzo non solo richiama alla memoria del lettore un importate capitolo di storia con tutta la carica emotiva che si porta dietro, ma invita anche a riflettere e ripensare il nostro presente di migrazione. Una migrazione diversa da quella degli italiani a Londra di un secolo fa ma ugualmente investita di quella retorica che inneggia alla paura dell’altro, al rifiuto del diverso e al sospetto di chi arriva nel nostro paese e che, non più di settanta anni fa, cambiò per sempre la vita di un’intera comunità.