Perché il giornalismo sarà solo per nativi digitali (parola di nerd)


Discorsi come quello tenuto ieri alle 18 nella Sala del Dottorato da Felix Salmon, blogger che da poco ha lasciato Reuters per passare a fare giornalismo post-testuale per Fusion, un network televisivo americano, sono difficili. Specie per chi riflette sul futuro del giornalismo solo considerando la prospettiva dei media italiani: il pubblico nostrano non conosce la varietà di prodotti d’informazione disponibili ai lettori (in senso lato) anglofoni.

Cuore della presentazione di Salmon era la potenzialità dell’explanatory journalism, quello di approfondimento, e dunque di nicchia. Pensate che il web possa diffondere solo immagini di gattini, foto di maggiorate e video di persone con problemi di autostima che si lasciano offendere da commentatori anonimi? Allora non sapete nulla della proliferazione dei blog di wonk, ovvero i nerd dei media, che trattano di argomenti complessi utilizzando il linguaggio tecnico inaccessibile ai più. È wonk Nate Silver, esperto di statistica che nel 2012 ha predetto correttamente i risultati elettorali delle elezioni presidenziali statunitensi per ogni stato, e che scrive su FiveThirtyEight. È wonk Ezra Klein, che ha lasciato The Washington Post, da cui scriveva su Wonkblog, per passare a Vox.

Salmon crede che quella dei wonk non sia una bolla, ma la via per fare buon giornalismo in futuro. Per comprendere le sue motivazioni è utile considerare l’evoluzione dei contenuti mediali su internet.

Ai primordi della rete (1995-1996) ogni tipo di contenuto online era innovativo, perché totalmente inedito. Web-nativo per definizione. Solo 16 milioni di persone erano connesse, ma tanto bastava per parlare di mass media. Lo spirito di quei giorni insieme alla cultura dell’hyperlink è ciò che ha portato alla nascita e al successo di Wikipedia.

Successivamente le grandi testate sono sbarcate online, e si è passati a quella che Salmon ha definito legacy-media dominance (1996-2003). Una rivoluzione in termini di distribuzione, ma pochissimi cambiamenti per quanto riguarda i contenuti. Ciò che era pubblicato sulla carta ha cominciato a essere traslato sulla rete, ma la creazione di prodotti web-native è stata atrofizzata.

Questo fino all’age of the blog ghetto (2003-2009), che ha visto spopolare i primi contenuti frutto dell’espressione personale, il nuovo entertainment nelle parole di Arianna Huffington. In questo caso all’hyperlink si è aggiunta la possibilità di commentare, altra innovazione web-nativa. Internet è diventato un’infinita conversazione collettiva, dove ogni post degno è citato in innumerevoli altri post.

A partire dal 2009 i grandi brand dell’informazione hanno cercato di incanalare la forza dei blog a loro vantaggio, includendoli nelle loro pagine, ma da meno di un anno si sta assistendo a una tendenza opposta. Firme prestigiose lasciano le testate che gli hanno dato visibilità perché ormai hanno un pubblico fedele legato al loro nome, più che a quello del loro contenitore.

Il problema dei contenuti ancora legati alla struttura dei media pre-internet è l’essere impacchettati in modo insensato per la rete: il numero di battute disponibili, le tipologie di articoli, la loro periodicità non sono criteri validi per pubblicazioni che possono essere aggiornate all’infinito. Per sfruttare le potenzialità della rete e diffondere l’informazione oggi è necessario tener presente che le nuove homepage sono Facebook e Twitter, e puntare a essere condivisi.

Dunque, abbattendo i limiti di uno schema ormai desueto, non resta che godersi il mondo nuovo di possibilità disponibili per chi voglia essere un giornalista oggi. Liberi dalle catene imposte ai media tradizionali, si può scrivere senza curarsi dell’opinione dell’average reader. Per ogni argomento è consentito scegliere un diverso approfondimento, e non serve spiegare ogni termine tecnico citato – per quello ci sono i link. E non è necessario scrivere: anzi, per parlare ai millennials è meglio puntare su video, animazioni, e infografiche. Quello che oltreoceano chiamano post-text storytelling.

Anche se per la vecchia guardia è difficile da accettare, il giornalismo non ha mai potuto essere tanto fedele alla sua essenza quanto oggi. Come ha ribadito Salmon, è attraverso le nuove forme sperimentali che si possono produrre media che esprimono davvero il senso di ciò che accade. Grazie ai prodotti web-native: “Quality has never had a better opportunity to be raised and discovered”.

Certo il mondo dei media cambierà faccia, se crediamo a Salmon. Non avremo più decine di testate che propongono le stesse breaking news riportate superficialmente. Al contrario, ci rivolgeremo a pubblicazioni minori capaci di scendere più in profondità attraverso la crossmedialità.

Dopo un discorso tanto visionario – per chi consulta unicamente i media italiani – tra il pubblico è emersa una domanda: come si forma un wonk? Salmon non ha avuto esitazioni nel dire che le scuole di giornalismo sono inutili. Secondo lui l’unica palestra utile è la blogosfera.

Ludovica Lugli