Tra giornalismo partecipativo e data journalism: il successo del crowdsourcing

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È possibile un giornalismo di qualità con il supporto dei cittadini? Alla luce delle esperienze di civic journalism e data journalism attuate da Rosy Battaglia, Gianluca De Martino e Daniel Drepper, e presentate mercoledì 6 aprile al Centro servizi Alessi per il Festival Internazionale del Giornalismo, sembrerebbe proprio di sì: anzi, la costruzione di inchieste partecipate costituisce un esempio di successo, in termini di coinvolgimento della comunità e di efficacia dell’impatto della narrazione giornalistica sulla società.

I relatori sono infatti fondatori di piattaforme di crowdsourcing che, pur occupandosi di temi differenti, in zone geografiche diverse, presentano numerosi punti in comune. Rosy Battaglia è l’ideatrice di Cittadini reattivi, progetto di civic journalism che si concentra principalmente su temi di ambiente e salute: le segnalazioni geolocalizzate raccolte sul sito, ad esempio, le hanno permesso di approfondire il tema dei siti contaminati da amianto, proponendo a Wired un’inchiesta, Il prezzo dell’amianto, grazie alla quale sono stati rettificati i dati pubblici ufficiali, che risultavano incompleti.

Gli stessi strumenti di monitoraggio civico e analisi di dati sono usati da Gianluca De Martino: il team di Dataninja, di cui fa parte, ha presentato diverse iniziative, tra cui Confiscati Bene, un progetto di data journalism che mira a mappare tutti i beni confiscati alla criminalità organizzata. Attraverso questo studio, ora concentrato su cinque stati europei (Italia, Francia, Spagna, Germania, Regno Unito) ma in via di espansione, è possibile controllare lo stato dei beni confiscati: arricchendo la mappa grazie alle segnalazioni dei cittadini, si garantisce trasparenza, facilitando il controllo degli immobili sottratti al potere mafioso, per evitare che ritornino nella disponibilità della criminalità organizzata, che vengano lasciati in condizioni di abbandono o siano gestiti scorrettamente. La partecipazione civica è indispensabile, spiega De Martino, “attivare i cittadini come sentinelle ci consente – e consente al progetto – di verificare se i beni vengono effettivamente utilizzati per fini sociali”.

Anche Daniel Drepper si occupa di crowdsourcing con il team di Correct!v: il gruppo giornalistico, nato con quindici cronisti e ora animato da sessanta datajournalist, ha costruito un’inchiesta sulle casse di risparmio in Germania, proponendo il tema online per poter ricevere le segnalazioni degli utenti da tutto il territorio tedesco. Correct!v è una redazione non-profit di giornalismo investigativo che, secondo Drepper, si caratterizza anche per una vocazione educativa: mira infatti a insegnare i corretti metodi di informazione ai lettori, rendendoli così partecipi grazie al citizen journalism. La partecipazione della cittadinanza a ogni fase di creazione informativa non esime però il giornalista dai controlli necessari: il fact checking resta parte essenziale del lavoro giornalistico e la sua accuratezza può anche spronare la cittadinanza partecipe a meccanismi virtuosi nella gestione del flusso informativo. Il giornalista non deve cedere alle notizie di pancia: “Non possiamo basarci sui casi emotivi, ci servono i dati di fatto”, sottolinea Daniel Drepper. Gli fa eco Rosy Battaglia, sottolineando come sia necessaria la cura della community, sia sulla piattaforma di crowdsourcing, sia sui social media, e assicura: “Io intervengo se ci sono delle notizie postate non corrette, perché dobbiamo alimentare un flusso buono di notizie”.

I progetti di Cittadini reattivi, Correct!v e Dataninja sono accomunati dagli strumenti di lavoro utilizzati: “Ognuno di noi ha sviluppato un modello un po’ diverso, però è interessante capire quanto tutti questi metodi e sistemi facciano riferimento ai dati (quindi datadriven), al crowdmapping (che è il nostro caso – Cittadini reattivi è partito con un progetto di crowdmapping – ), e a engagement sui social media”.

Attraverso il coinvolgimento tra piattaforme e social media, il cittadino smette di essere un semplice ricevente della notizia: “Build with, not (only) for”, sostiene Rosy Battaglia citando Laurenellen McCann, “costruire con, non (solo) per”. Il coinvolgimento dei non giornalisti riguarda ogni fase di creazione della notizia: l’idea iniziale viene condivisa e può anche nascere da una segnalazione attraverso i social media o le piattaforme di crowdsourcing; la raccolta dei dati si arricchisce poi quantitativamente e qualitativamente, perché le informazioni provengono da cittadini che vivono di persona le situazioni che segnalano e i dati, pur dovendo essere comunque verificati, assumono valore di fonte diretta; infine, dopo la fase di pubblicazione, i cittadini partecipano sia come lettori, sia come vettori del servizio giornalistico, tenendo viva l’attenzione sulla notizia. È il caso dell’inchiesta di Rosy Battaglia per Wired sui siti contaminati da amianto, che ha dato il via a una petizione che ha raggiunto le 68mila firme.

Il lavoro partecipativo non deve però tralasciare la chiarezza espositiva. La forma con cui vengono presentati i contenuti deve essere accessibile: mappe e infografiche sono strumenti spesso utilizzati efficacemente per presentare informazioni complesse con un linguaggio semplice e intuitivo, che non scada tuttavia nella superficialità.

Il civic journalism basato sul crowdsourcing si presenta dunque come un metodo giornalistico aperto, in collaborazione con la cittadinanza ma anche con esperti di settore che mettano a disposizione le proprie competenze per il progetto informativo. L’approccio collaborativo riguarda anche i giornalisti: al tavolo dei relatori, Rosy Battaglia e De Martino avevano già lavorato insieme, mettendo in comune sforzi e competenze. Il confronto con altri giornalisti permette infatti di accedere a nuovi strumenti, ma anche di automotivarsi: Rosy Battaglia, che ha sviluppato autonomamente l’idea di rivolgersi alla cittadinanza per studiare temi e produrre inchieste, ha poi scoperto altre realtà all’estero, come quella di Correct!v, che uniscono gli strumenti di civic journalism con quelli del data journalism.

Non mancano comunque le difficoltà. Oltre alla necessità di controllo minuzioso sulle segnalazioni civiche da parte del giornalista, resta il problema della sostenibilità economica, emerso anche dalle domande della platea del Centro Alessi: come si finanziano i progetti di civic e data journalism? Esistono due diversi metodi che i relatori hanno sperimentato. Innanzitutto, i grant, sia provenienti da enti pubblici, come l’Unione Europea per il progetto Confiscati Bene, sia da una fondazione privata, com’è accaduto per la nascita di Correct!v, sia anche da premi giornalistici, come per Rosy Battaglia, che ha investito il denaro ottenuto con la vittoria del premio della fondazione Ahref come miglior progetto di inchiesta ad alto impatto sociale per finanziare le attività di Cittadini reattivi. Altro strumento di finanziamento è il crowdfunding, basato a sua volta sulla caratteristica partecipativa di questi progetti giornalistici.

Quel che emerge da questo dibattito su esperienze che uniscono il crowdsourcing agli strumenti di data journalism è la fondamentale funzione di servizio alla comunità di questa forma di giornalismo. Innanzitutto perché questo metodo aperto spinge i cittadini alla partecipazione, invitandoli a osservare e agire, laddove già non si muovano da soli: “I cittadini, pur di essere raccontati, si raccontano da soli” rileva infatti Rosy Battaglia. Ma l’importanza del civic journalism risiede anche nel fine ultimo del giornalismo, che è sempre uno strumento di cultura e condivisione con i cittadini. Su questo concetto, Battaglia, De Martino e Drepper sono concordi: dare informazione, completa e partecipata, equivale a dare potere perché solo un cittadino consapevole può influire efficacemente sulla realtà sociale che lo circonda.