“A occhi aperti”: la storia in una foto

Foto: Roberto Baglivo
Foto: Roberto Baglivo

Un viaggio nel tempo quello che Mario Calabresi ha fatto fare al suo pubblico questa mattina a Perugia. Una successione di scatti e le testimonianze di fotografi e fotoreporter per presentare il suo libro A occhi aperti, un libro che – come lui stesso lo definisce – non tratta di fotografia, ma di giornalismo nella sua essenza.

I fotografi non possono mentire: per raccontare i fatti, devono esserci e viverli. Alla discussione hanno contribuito i fotoreporter Pietro Mastrurzo, Riccardo Venturi e il fotografo Davide Monteleone. Esserci a tutti i costi e raccontare come nessun altro è l’ambizione di ogni fotografo, ma c’è chi, lontano da estremismi di successo, empatizza con i suoi soggetti e, in alcuni casi, abbandona l’obiettivo per salvare la vita di un uomo. È emerso, inoltre, che la fotografia può trasformarsi anche in strumento di elaborazione dei propri lutti attraverso i volti catturati durante i conflitti della guerra.

Nel periodo storico in cui tutto scorre velocemente in 140 caratteri, è bello poter immortalare storie, approfondirle e raccontarle anche dopo il fragore del momento e a riflettori spenti. A tale proposito è stata ricordata l’esperienza di Paul Fusco, le cui immagini scattate dopo il funerale di Robert Kennedy sono diventate famose solo dopo molti anni. Fusco sale sul treno che trasporta la salma di Kennedy a Washington e mentre i ferrovieri decidono di alzare la bara sui sedili in modo che la folla sui binari possa dargli l’ultimo saluto, capisce che la storia non è sul treno e mette insieme un reportage fatto di foto di famiglie sui binari, neri e bianchi, bambini, giovani e anziani che condividono questo momento. Uno spaccato storico raccontato da una prospettiva differente che, dopo un’incubazione di trenta anni ha avuto il suo giusto riconoscimento. Questa storia è stata di certo incoraggiante per tutti quei fotografi e giornalisti che vedono rifiutare il proprio lavoro: perseverate e conservate i vostri lavori migliori. Il suggerimento è, dunque, di conservare quello che adesso appare di poca importanza; fra trenta o quaranta anni potrebbe rivivere di nuova luce.

Anche Mario Calabresi, dietro consiglio di Fusco, ha iniziato a conservare tutti i suoi taccuini.

Sabrina Pugliese