Ambiente e informazione: un’occasione che non va persa

Foto: Diego Figone
Foto: Diego Figone

In Italia c’è bisogno di informazione ambientale. Questa è la certezza emersa nel corso dell’incontro “Ambiente e informazione: occasione mancata?” che si è tenuto il 15 aprile al Centro Servizi G. Alessi. I dubbi riguardano le modalità di trasmissione delle informazioni sull’ambiente che, come ha detto Paola Bolaffio, direttrice di Giornalisti nell’Erba, rischiano sempre di essere avvertite come “troppo tecniche, etiche e moralizzanti”. In realtà questo tipo di informazione riguarda i singoli cittadini più di quanto si pensi. Per salvaguardare l’ambiente si deve infatti partire dai piccoli gesti, modificando le proprie abitudini. Bisogna trasformarsi in cittadini attivi. “C’è il desiderio di avere informazioni nel dettaglio – ha detto Marco Fratoddi, direttore di La Nuova Ecologia – c’è anche la necessità che alcune indicazioni vengano ribadite, per esempio su come si fa la raccolta differenziata”. Il cittadino deve essere quindi sensibilizzato attraverso un processo graduale.

Ma qual è lo stato attuale della divulgazione scientifica nel nostro paese? C’è chi è più pessimista, come il direttore di QualEnergia Sergio Ferraris. “Stiamo perdendo un’occasione importante – ha detto nel corso del dibattito – e tra un paio d’anni l’avremo persa definitivamente”. L’informazione ambientale si fonda sui dati e, secondo Ferraris, l’Italia ha una buona base, derivante per esempio dai rapporti Ispra e dagli studi epidemiologici. “Il problema è che questi dati, da un punto di vista editoriale, vengono utilizzati in maniera povera”. In presenza di dati, di un corpo di giornalisti esteso, si domanda Ferraris, perché non si trova un approccio giusto? La risposta sta nell’arretratezza generale del corpus giornalistico italiano nell’utilizzo di nuovi sistemi e nuovi media, rispetto ai giornali stranieri. Ma anche nella difficoltà di realizzare inchieste che mettano in cooperazione, in maniera innovativa, per esempio i cambiamenti climatici e il dissesto idrogeologico. I media che si occupano di problematiche ambientali, specialmente sul web, “soffrono di una povertà endemica, comprese le grandi testate”.

C’è invece chi è più ottimista e parla, non di un’occasione persa, ma di una “fase di transizione”. Come Eliana Rapisarda, direttrice di VeronaGreen.it. “Stiamo acquisendo a poco a poco la consapevolezza di quanto la questione ambientale sia delicata – ha detto – dalla fase di paura del cittadino, dobbiamo passare a una fase di coscienza e di voglia di cambiamento. Questo si fa lavorando sul territorio e sulla comunità”. E cita l’esempio di Rob Hopkins, fondatore del movimento Transition Towns, che parla della necessità di attuare il cambiamento a livello delle comunità. Un cambiamento che si realizza trasformando le economie locali, portando consapevolezza ai cittadini e agli imprenditori.

Chi sta perdendo un’occasione, secondo Marco Fratoddi, sono gli editori, che non hanno recepito il bisogno dei cittadini di essere informati sulle tematiche ambientali, e gli editori di giornali mainstream in particolare. “Noi siamo una goccia nell’oceano – ha detto – e non abbiamo le risorse dei grandi quotidiani. L’ambiente fa notizia solo quando ci sono catastrofi, ma oggi c’è bisogno di un’informazione a tutto tondo. L’ambientalismo deve avere una prospettiva affascinante per il lettore”.

Il problema della scienza è quello di arrivare agli addetti ai lavori e al grande pubblico. Un problema affrontato, durante l’incontro, da Francesca Dragotto, docente dell’Università Tor Vergata di Roma e autrice del libro“Parola di scienziato”. In un’epoca segnata dall’utilizzo di mezzi di comunicazione estremamente veloci, secondo Dragotto, il problema è dato dall’eccessiva disponibilità di dati che, se non supportata da capacità critica, porta a pensare che il dato scientifico sia incontrovertibile e non frutto di un’opinione, di una teoria. “Qualsiasi dato – ha detto Dragotto – deve essere calato in un testo, una struttura logico-concettuale che ha sempre per fondamento un’opinione ed è frutto di un’interpretazione”. La scienza si fa in laboratorio, ma si diffonde all’interno della comunità in seguito a un processo di traduzione e mediazione, durante il quale il dato subisce una “manipolazione”. In questo processo si sbiadisce il contenuto scientifico del testo iniziale, a volte per colpa degli stessi scienziati, incapaci di tradurre il lavoro di laboratorio, a volte per colpa dei “mediatori”, coloro che hanno la funzione di interpretare i dati scientifici. I giornalisti, in quanto mediatori, hanno dunque l’importante compito di rendere il sapere scientifico comprensibile al grande pubblico. “Ma – ha aggiunto Dragotto – non bisogna confondere il saper scrivere con la conoscenza dei meccanismi che stanno dietro ai dati scientifici”.

Una dimensione complessa, quella del giornalismo ambientale, spesso relegato a una mera questione di marketing e di costume. Oggi è in cerca di una propria identità. L’interesse manifestato dai cittadini, sempre più cittadini attivi fa sperare che l’incontro tra ambiente e informazione non sia un’occasione mancata.