Cambiamento climatico: come raccontare la nuova sfida dell’adattamento

Una Sala delle Colonne affollata ha accolto gli speaker del panel “Cambiamento climatico: come raccontare la nuova sfida dell’adattamento”, durante la seconda giornata dell’International Journalism Festival. Un dibattito, moderato dal giornalista Guido Romeo, volto a dare le informazioni di base per capire e raccontare le sfide che ci pone di fronte il cambiamento climatico.

Concetti di base

Il primo a parlare è stato Mauro Buonocore: gestisce la comunicazione per il Cmcc – il Centro Euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici – cioè un centro di ricerca no profit italiano incentrato sullo studio degli effetti del cambiamento climatico sui vari settori della società (economia, ecosistemi ecc) tramite previsioni e modelli matematici, basati sui dati raccolti.  Insomma, un esperto di una materia estremamente complicata. Infatti, ha voluto mettere in chiaro alcuni termini utili alla comprensione di un fenomeno difficile. Per prima cosa, bisogna ricordarsi che “non è una questione ambientale. I cambiamenti climatici sono una questione multidisciplinare, che attraversano in maniera diagonale tutte le attività dei nostri settori economici”. Riguarda tutti, di ogni settore e disciplina. Come dirà più tardi Angelo Romano “non è una questione di destra o di sinistra. Riguarda noi come comunità”, riprendendo le parole di Alexandra Ocasio-Cortez per la presentazione del Green New Deal.

Buonocore introduce poi i due pilastri su cui si fonda il dibattito sul clima: la mitigazione e l’adattamento. La prima “riguarda tutte le politiche che sono finalizzate a diminuire la concentrazione della Co2 e degli altri gas serra in atmosfera”, mentre l’adattamento unisce in sé altre due parole chiave, benessere e sviluppo sostenibile, perché “adattarsi ai cambiamenti climatici vuol dire garantire a noi e alle generazioni future il benessere, e quindi garantire il fatto che noi riusciremo ad essere pronti agli impatti che dobbiamo attenderci dai cambiamenti climatici”. Impatti che sono stati ampiamente studiati, ed hanno una base scientifica solida. Per esempio, gli scenari del Cmcc ci dicono già che dovremmo aspettarci un innalzamento delle temperature, anche nel caso attuassimo delle misure virtuose.

E a che punto siamo con questi due pilastri? Secondo il report annuale dell’Ipcc – l’Intergovernamental Panel on Climate Change, l’ente dell’Onu che raggruppa il sapere della comunità scientifica mondiale sul clima – “dal punto di vista della mitigazione, non stiamo lavorando molto bene”. La complessità sta nell’approccio che serve ad arginare le emissioni di Co2: serve un atteggiamento globale, e non locale. “Ridurre le emissioni di Co2 richiede il contributo di tutti i paesi del mondo. Se noi riduciamo le emissioni ma la Cina e gli Stati Uniti no, queste emissioni vanno nella stessa atmosfera”. L’adattamento è differente perché ha una dimensione locale marcata, “riguarda i cambiamenti climatici che entrano dentro casa nostra”, si tratta della dimensione che ci attrae di più, perché è quella che consideriamo più vicina. Ma non si può considerarla senza l’altra grandezza, questo perché “meno aumenta la temperatura, meno sarà costoso adattarsi ai cambiamenti climatici”.

Come viene comunicato il Cambiamento Climatico

“I giornali ne parlano pochissimo, perché non fa notizia”, ci dice Angelo Romano di Valigia Blu. Per lo più trattano le situazioni di emergenza, troppo legati al frame catastrofista del Doom & Gloom – come ricordato da Guido Romeo. Senza il dolore o la vicinanza, è difficile far sentire l’urgenza del tema. Un esempio, tra quelli che ha portato avanti Angelo Romano, è la copertura dell’ultimo rapporto dell’Ipcc, uscito l’8 ottobre 2018: “Gran parte dei media del Regno Unito non ne hanno minimamente parlato nelle loro prime pagine. In Italia ne ha parlato solo La Stampa”.

In cosa stanno sbagliando i media nel racconto del clima? Tante cose. Uno degli errori più sottolineati dai teorici del giornalismo è quello del Falso Bilanciamento. “Molto spesso, quando si parla di questioni che hanno un impatto di grande rilevanza pubblica” – continua Romano – “si tende a seguire l’approccio della par condicio. Appunto, il falso bilanciamento: dare uguale spazio a due voci opposte” e che non hanno necessariamente lo stesso peso nel dibattito scientifico: “in questo caso si contribuisce a generare un ciclo di disinformazione sul cambiamento climatico: si da uguale spazio a scienziati e climatologi che stanno studiando e che per ogni cosa che scrivono e dicono affrontano un processo di validazione e revisione delle loro tesi e di revisione che è molto complesso”. Precisa poi Buonocore “Non si sentono due opinioni su una questione scientifica. Ci si affida alle pubblicazioni, ci si affida alla fonte autorevole”.

Un’altra caratteristica da considerare è il Climate disaster porn. Il catastrofismo, dopo anni in cui abbiamo ripetuto più o meno sempre lo stesso messaggio di fine imminente, non ha portato le persone all’azione o a politiche di adattamento e mitigazione del fenomeno. C’è però chi si sta impegnando per promuovere un’informazione corretta: Romano cita il lavoro di Climate Feedback ed il lavoro di Valigia Blu sul “tema dei giorni nostri”.

Iniziative europee

Vitalba Crivello è una funzionaria del parlamento europeo che si occupa da tempo di informazione scientifica. Di recente ha lanciato l’European Science-Media Hub, un sito lanciato con l’aiuto dell’Unione Europea che propone una rassegna stampa internazionale sulla scienza, e quindi anche sul cambiamento climatico. Vuole essere “una piattaforma di lavoro e scambio informativo tra giornalisti, comunicatori scientifici, policy maker […] e i ricercatori che si occupano del tema”.  Anche perché “l’adattamento al climate change rappresenta per le istituzioni europee in questo momento una grande priorità”.

Infatti, ci spiega la Crivello, l’Unione Europea ha obiettivi ambiziosi per il futuro. Una prima strategia di adattamento è del 2013, poi confermata e migliorata dai successivi accordi di Parigi. “Nell’attuale programma di finanziamento l’UE devolve il 20% del budget totale a finanziamenti volti a diverse politiche di adattamento climatico”, che si concretizzano in 6 programmi di finanziamento. L’obiettivo è quello di alzare ulteriormente questa quota, fino al 25%.