Carola Frediani, co-fondatrice dell’agenzia giornalistica indipendente Effecinque e massima esperta italiana di Anonymous, è una presenza molto attiva in questa edizione del Festival. Sia come moderatrice che come relatrice; infatti oggi pomeriggio, all’Hackers Corner, Hotel Brufani, ha tenuto un intervento dal nome “Perché la censura rende stupidi (i censori) e intelligenti (gli utenti)”.
Nella prima parte della lezione – perché di questo si è trattato – Frediani ha illustrato tramite uno storify alcuni dei più recenti casi di censura digitale: il blocco di Twitter in Turchia dello scorso febbraio – e in Egitto nel 2011 – l’aumento del controllo sui blogger in Russia e sui social media in Messico, l’opinabile legge anti-porno nel Regno Unito. Sempre di più i tentativi dei governi di promulgare leggi atte a censurare e controllare i contenuti digitali scatenano proteste di piazza. Ormai online e offline si sono mescolati, e non ha più senso fare distinzioni tra i diritti digitali e gli altri. “La vita digitale è la nostra vita” ha affermato Frediani. Sintomo di questo fenomeno è il fatto che non soltanto le organizzazioni internazionali che si occupano di difendere le libertà sulla rete prendono le difese dei censurati, ma anche entità più tradizionali, come Amnesty International.
La rete percepisce le limitazioni alla libertà online, cerca di aggirarle, e solitamente ci riesce. Tuttavia ciò non significa che la censura non sia un problema. Google e Twitter hanno ceduto alle pressioni di alcuni governi pur di continuare a essere accessibili ai loro cittadini.
Non bisogna poi dimenticare l’altra faccia della medaglia, ha ricordato Frediani: la sorveglianza. Il caso Snowden ha dimostrato che i nostri dati non sono al sicuro, e che sono un patrimonio difficile da proteggere. Per questo è necessario cercare di educare gli utenti del web. Paradossalmente sono più preparati su questi argomenti i cittadini dei paesi “diversamente democratici”. Questo perché sono più abituati ad avere a che fare con misure repressive.
Un’altra questione da prendere in considerazione è quella dei software che certi governi utilizzano per violare i diritti digitali dei propri cittadini. Chi vende questi prodotti all’Iran, al Marocco e agli altri stati che vogliono sorvegliare e censurare? Aziende occidentali. E il mercato di queste armi digitali non è regolamentato. Dov’è la politica quando serve?
Purtroppo solo una maggiore diffusione di questi temi può aiutare a migliorare la situazione. Molti attivisti si stanno cimentando in questa impresa, sia coi metodi più tradizionali che producendo piattaforme hardware e software in grado di garantire più sicurezza agli utenti.
Un più alto livello di consapevolezza è necessario se vogliamo cercare di emanciparci dalle scelte dei monarchi illuminati del web, come Google e Facebook.
Lo scorso 31 marzo è entrato in vigore il Regolamento Agcom sul diritto d’autore. Stabilisce che sia un’autorità amministrativa e non una giudiziaria a stabilire se un contenuto digitale debba essere rimosso o meno dal web. Se da una parte questo velocizza le procedure, non ricorrendo alla magistratura già oberata di lavoro, dall’altra è sempre legittimo che non sia un giudice a prendere decisioni su cosa può stare online o meno?