Come evitare una condanna per diffamazione e vivere felici

Niccolò Caranti
Bruno Saetta e Fulvio Sarzana, avvocati e blogger

Per un giornalista sapere esattamente quali sono i suoi diritti e doveri, in relazione al media per il quale lavora, è fondamentale. Tanto quanto il controllo accurato delle fonti, primo passo per evitare una querela per diffamazione. Gli avvocati e blogger Bruno Saetta e Fulvio Sarzana hanno cercato di fare un po’ di chiarezza su come evitare di trovarsi col conto in banca in rosso – o peggio dietro le sbarre – nel loro seminario “Libertà d’espressione 2.0. Come difendersi dalle tentacolari richieste di danni per diffamazione”.

Durante il dibattito, hanno illustrato la normativa vigente in Italia in materia di diffamazione, obbligo di rettifica e diritto all’oblio. Spiegando poi se e in che modo questi istituti si applicano alla realtà digitale e quali differenze ci sono tra chi scrive sul web e chi invece lavora per un giornale cartaceo. E ancora, in che modo l’attività di un blogger è diversa, dal punto di vista giuridico, da quella di chi scrive su una testata registrata sul web, specificando quando la rettifica è dovuta e quando non lo è. Il tutto contestualizzato da una serie di casi giurisprudenziali. Ricordando sempre che, in base alla “sentenza decalogo” della Cassazione sul diritto di cronaca, il diritto di stampa è legittimo se la notizia diffusa è vera, di interesse pubblico ed esposta con continenza verbale.

Quello della diffamazione a mezzo stampa è un tema particolarmente caldo negli ultimi anni, tanto che un disegno di legge per riformare la materia – purtroppo criticato da molti addetti ai lavori – è stato approvato dal Senato lo scorso ottobre ed è in attesa di essere esaminato alla Camera. La disciplina attuale, come hanno evidenziato Saetta e Sarzana, limita parecchio la libertà d’azione dei giornalisti, in primis perché le sanzioni previste sono spesso sproporzionate rispetto alle possibilità economiche del giornalista e al danno che questi può arrecare all’offeso.

L’attualità del dibattito in materia deriva soprattutto dal fatto che l’Europa ci avrebbe chiesto di abrogare la norma che prevede il carcere – eventualità remota ma non da escludere – per i giornalisti condannati per diffamazione. Il riferimento è alla sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo (Cedu) del 2013, che ha condannato il nostro Paese per aver inflitto la pena detentiva a Maurizio Belpietro, riconosciuto responsabile di diffamazione. “L’Europa però non si è mai sognata di chiederci questo – specifica Saetta – semplicemente la Cedu ha detto che la pena per il reato di diffamazione deve essere proporzionata, in modo che non abbia un effetto dissuasivo sulla libertà di informazione. Anche una pena pecuniaria può infatti essere sproporzionata e condizionare il giornalista. In questo caso il condizionamento poi può essere doppio, perché la sanzione pecuniaria si ripercuote anche sull’editore, col rischio che questi per evitare problemi censuri il giornalista o lo lasci solo ad affrontare il processo”.

La sproporzionalità delle pene non è però l’unico difetto che nel nostro ordinamento che tarpa le ali all’attività giornalistica. Anche la rettifica, strumento che nasce per difendere reputazione e privacy di chi viene leso, a torto, dalla notizia, come disciplinata dalla Legge Stampa rischia di intralciare la libertà di informare ed essere informati. “Per quel che riguarda la televisione – spiega Saetta –  si può chiedere la rettifica se la trasmissione è contraria a verità, perciò è legata a un parametro oggettivo. Per la stampa è invece sufficiente che l’articolo sia ritenuto lesivo della dignità da parte della persona che vi è menzionata, a prescindere, come ricordato da una sentenza della Suprema Corte del 2008, dall’esattezza della notizia stessa. Quindi chiunque, a suo insindacabile giudizio, si sente diffamato dall’articolo può scrivere al giornale e deve ottenere la pubblicazione della rettifica, rifiutabile solo se ha un tono diffamatorio o richiede uno spazio eccessivo”.

SarzanaSi ha così un automatismo dell’obbligo di rettifica, che perde la sua eccezionalità e diventa la regola a scapito della libertà di informazione. Automatismo, che, come ricorda Saetta, “è stato censurato dalla Cedu con una sentenza del 2007 emessa nei confronti della Polonia, che si trova in una situazione simile a quella italiana”. Sentenza che però deve essere sfuggita ai nostri senatori, dal momento che l’ultimo disegno di legge in materia prevede che il giornalista che ha pubblicato la notizia non avrà più il diritto di replicare alla rettifica. Perciò una notizia, magari basata su dati oggettivi, varrà quanto l’opinione soggettiva di chi dalla stessa si sente, a torto o ragione, offeso.
Proprio in merito all’obbligo di rettifica si ha una distinzione importante tra giornalismo online e cartaceo. “La giurisprudenza ha stabilito che l’istituto della rettifica non si applica al web – spiega Sarzana – perché la Legge Stampa, essendo del 1948, fa riferimento esclusivamente agli stampati”. Ma pubblicare sul web ha anche qualche svantaggio. “La stampa è l’unico mezzo di manifestazione del pensiero per cui l’articolo 21 della Costituzione dispone il divieto di sequestro – continua Sarzana – quindi, come stabilito dalla Cassazione a gennaio di quest’anno, una pagina web che non sia di una testata registrata può essere sequestrata, perché appunto non si tratta di stampa”.

Ma allora qual è la natura giuridica di un blog? Si tratta o no di attività giornalistica, è sequestrabile o no? “Non c’è ancora una risposta a riguardo – commenta Sarzana – quel che è certo è che la diffamazione sul web non è equiparata a quella a mezzo stampa, perciò non le si applica la disciplina prevista dalla Legge Stampa ma quella ordinaria, pur in forma aggravata, di cui all’articolo 595 del codice penale, che prevede sanzioni meno severe”.

Un altro limite alla libertà di azione dei giornalisti italiani deriva dall’assenza, nel nostro ordinamento, dell’istituto della querela temeraria. Perciò, chi vuole intimidire un giornalista e rallentarne il lavoro presentando una querela con poche pretese di successo può farlo senza il rischio di sanzioni specifiche o particolarmente gravi. “In Italia per zittire i giornalisti si ricorre a una vera e propria ‘querelomania’ – dice Sarzana – anche perché il rischio del carcere, pur se remoto, c’è. Soprattutto se si sono ricevute molte querele o se il querelante è un soggetto ‘particolare’ “.

Sarzana e Saetta“Si propone una querela milionaria per intimidire il giornalista – spiega Saetta – ma il problema è più complesso e non si può risolvere semplicemente aumentando le sanzioni a carico del querelante in caso di assoluzione del giornalista. La querela infatti è uno strumento che colpisce non solo il professionista ma anche l’attività, dato che per tutto l’arco del processo, che in Italia non è certo breve, l’inchiesta è di fatto congelata, poiché nessuno si sogna di pubblicarla. E magari, una volta finito il processo, non viene comunque pubblicata perché ha perso la sua rilevanza pubblica. In Italia si tende alla tutela del singolo giornalista, dovremmo invece prendere spunto dalla giurisprudenza delle corti europee che mira a tutelare l’attività giornalistica in sé.
Sarzana si è poi soffermato sul diritto all’oblio, cioè il diritto a ottenere la cancellazione di quelle informazioni che ledono privacy e onore di una persona nel momento in cui cessano di essere di interesse pubblico. “Fino al 2014, in questi casi solo la fonte che aveva emesso la notizia poteva eliminarla. La sentenza della Corte di Giustizia dell’Ue sul caso Costeja però ha cambiato tutto. Ora anche Google è tenuta a eliminare un contenuto dai motori di ricerca se questo non è più attuale e pertinente”. Costeja, avvocato spagnolo, aveva fatto causa a Google, vincendola, perché voleva che alcuni suoi vecchi guai giudiziari fossero cancellati dal web. Nonostante la vittoria, così facendo ha però reso le proprie vicende immortali, ottenendo quindi l’esatto opposto di quello che cercava. “E’ il cosiddetto ‘effetto Streisand’ – spiega Sarzana –  Il web non è il mondo tradizionale, ha caratteristiche diverse dalla stampa. Se agisci per difendere il tuo diritto all’oblio finisci per dare ancora più visibilità alla tua storia”.

Per questo, almeno sul web, la tutela di questo diritto è quasi impossibile. “Quando i giornali ricevono una richiesta di diritto all’oblio, avviano una serie di procedure – continua Sarzana – levano i tag, deindicizzano la notizia o la spostano sull’archivio cartaceo. Ma se le grandi testate pubblicano una notizia, il diritto all’oblio te lo puoi scordare. Infatti il Garante della privacy oggi parla di diritto all’aggiornamento, che sul web equivale alla condanna”.

Ma al di là di norme, diritti e doveri, per Sarzana la ricetta per tenersi lontani dai guai è semplice: “Controllate sempre bene le vostre fonti, senza farvi prendere dalla fretta. In Italia c’è troppa ansia di scoop, in America ad esempio le redazioni online controllano la notizia cento volte più della redazione ordinaria, da noi invece è il contrario. Se sei sicuro di ciò che hai scritto, puoi sempre rispondere ‘hai detto una sciocchezza’ a chi ti contesta qualcosa”.