Comunicazione ed LGBT: una storia in regressione

Gli ironici video dell’ attore Carlo Gabardini, ad apertura del panel al centro G. Alessi, centrano immediatamente il punto del discorso: la discriminazione e la mancata “normalizzazione” dell’amore omosessuale partono, prima di tutto, dai sistemi di comunicazione e, in particolare, dalla pubblicità.

Francesca Fornario, giornalista e scrittrice, collaboratrice con Un giorno da pecora su Radio 2, rivolge subito la questione ad Annamaria Testa, pubblicitaria fondatrice di Progetti Nuovi: il problema sta, secondo lei, nell’assoluta mancanza di innovazione, di sperimentazione nei metodi e nei modi di raccontare. La pubblicità, in Italia, è sostanzialmente vecchia. Dopo la crisi della carta stampata il mondo pubblicitario italiano non è in grado di sfruttare il web con nuovi modelli e la pubblicità televisiva rimane la più pesante e influente. Invia messaggi potenti, diffonde modelli di comportamento attraverso un linguaggio semplice, ripetitivo e popolare.
Avvia una completa e totale cancellazione del diverso, di tutto ciò che esce dai canoni di quello che Annamaria Testa chiama “stereotipo Mediaset”, ovvero uomini senza baffi, donne senza occhiali, mamme sui trent’anni sempre pettinate e ben vestite, relegazione delle over 55 alle sole pubblicità di dentiere e pannoloni. Una “cecità estesa nei confronti dell’universalità multiforme dei consumatori”.

In Italia manca, quindi, ciò che all’estero già c’è. E nei rari e lungimiranti casi in cui, invece, anche da noi ci si rinnova, si viene criticati e attaccati; è il caso dell’Ikea che, con una campagna prima cartacea poi televisiva, per promuovere la tessera family, dipinge, in un clima di normalità e quotidianità, tanti tipi di famiglia tra cui due ragazzi omosessuali che in un momento di romanticismo e passione uniscono due letti prima separati.
Ne parla Valerio Di Bussolo, direttore relazioni esterne Ikea Italia, e racconta di come questa loro scelta sia stata criticata da Giovanardi e giudicata, addirittura, anticostituzionale.
La verità è che una decisione di questo tipo si è rivelata vincente e spinge i consumatori a gesti di solidarietà e di affetto, come postare soddisfatti su facebook lo scontrino dopo aver fatto compere all’Ikea. Ed è qui che sta la forza della pubblicità: nella capacità di profilare il target.

Eliminare completamente dai consumatori la comunità LGBT (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali) è una mossa innanzitutto economicamente svantaggiosa e poi, come i video di Gabardini hanno ampiamente dimostrato, è senza senso.
Ne è un esempio il caso Barilla in cui la discriminazione delle famiglie omosessuali ha portato a un consumismo critico, mai visto prima in Italia.
L’ex parlamentare e attivista LGBT Anna Paola Concia insiste e si infervora su questo argomento: “Il popolo dei consumatori può e deve insegnare qualcosa ai brand commerciali e alle aziende. Siamo “lamentosi da tastiera” – dice, – siamo pavidi, ed è per questo che gli spot in cui viene rappresentato l’amore (e non il sesso) gay ci sono, ma non in Italia”.
E non ci sono anche perchè, come evidenzia Flavio Romani, presidente di Arcigay, in Italia la discriminazione è di stato, partendo partiti che promettono e non mantengono, che parlano di “step by step”, di “ci vorranno altri vent’anni”, ma “io vent’anni non li ho! Voglio tutti i diritti e ora”, dichiara quasi gridando Gabardini.
“Si sta tornando indietro, partendo dal nulla”, è la lapidaria conclusione di Anna Paola Concia.

Martina Stefanoni
@MaStef94

Foto: Stefano Gizzi.