Comunicazione politica e narrazione giornalistica

Al Teatro della Sapienza si discute del ruolo della narrazione giornalistica, delle sue relazioni con la comunicazione politica e delle modalità con cui queste realtà tendono a plasmarsi a vicenda.

Jacopo Iacoboni, giornalista della Stampa, modera l’incontro che ospita Francesco Nicodemo, responsabile della comunicazione per il Partito Democratico, Nicola Biondo, direttore dell’Ufficio comunicazione del Movimento 5 Stelle, la giornalista Elisabetta Gualmini e Giuliano Santoro, presidente dell’Istituto Carlo Cattaneo.

I reparti di comunicazione dei partiti politici sono in grado di plasmare la comunicazione giornalistica? Questo l’interrogativo posto da Iacoboni, il quale aggiunge che nei casi più eclatanti la politica sembra schiacciata dalla dimensione comunicativa. Un esempio fra tanti è  Matteo Renzi, che presenta su twitter il suo programma in dieci punti fondamentali, o ancora la lamentatio tipica del Movimento 5 Stelle. L’errore giornalistico sarebbe soffermarsi eccessivamente sulla modalità di presentazione, dimenticando di indagare la questione dal suo interno.

Foto: Simona Lodato
Foto: Simona Lodato

 

È Francesco Nicodemo a rispondere per primo. Secondo il responsabile della comunicazione PD la crisi politica degli ultimi tempi è andata di pari passo con la crisi dei media tradizionali: «c’è pochezza nel raccontare la contemporaneità, pochezza sia di linguaggi che di tecnica. I media sono stati utilizzati ‘a compartimenti stagni’, mentre il vero racconto politico nasce da uno sviluppo collettivo e parallelo. È per questa ragione che le immagini di Silvio Berlusconi e Matteo Renzi sono diverse: il primo ha sempre attirato l’attenzione della televisione, ma ora che la comunicazione è cambiata sembra non si riesca a veicolare il fatto che Renzi sia l’unico leader politico che nasce per fare politica, e che vorrebbe portare tali argomentazioni al centro della comunicazione nazionale».

Risponde Nicola Biondo, direttore dell’Ufficio comunicazione M5S, il quale dichiara di aver iniziato la sua carriera come cronista giudiziario nell’ambito delle mafie e scherza aggiungendo che «a posteriori ha avuto molta più paura occupandosi di comunicazione politica, argomento complicato e delicato». Si dichiara completamente in disaccordo con la «precedente accusa di lamentatio e suggerisce piuttosto al PD di liberarsi dal legame col partito di Repubblica». Secondo il direttore, la fortuna del M5S è quello di avere due ottimi comunicatori: Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, e che «quando il secondo andrà finalmente in televisione saprà bucare lo schermo».

 A questo punto risponde Elisabetta Gualmini, che esordisce prendendo le distanze dalle considerazioni di entrambe le parti: «Loro fanno il loro mestiere». Secondo la presidente dell’Istituto Carlo Cattaneo gli strumenti di comunicazione esistono, così come esistono le competenze per utilizzarli correttamente. Il piano politico attuale, a suo parere, vede l’affermazione di tre leader forti, «o due e mezzo – precisa –  rispettivamente Renzi, Grillo e Berlusconi» e insiste sul fatto che tanto il PD quanto il M5S non esistano come partiti. «Sono piuttosto strumenti al servizio dei rispettivi capi».

La comunicazione politica contemporanea ha uno stile largamente populista, come dimostra il progressivo addolcimento del comportamento di Grillo negli incontri televisivi. Si è partiti dalla cancellazione dell’intervista per Sky per giungere all’abbraccio con la giornalista Roberta Ferrari. Secondo Gualmini il M5S ha quindi «capito perfettamente come si usano i media tradizionali e li usa con cura».

«Lo stesso Renzi – continua, rivolgendosi a Nicodemo – ha scritto una lettera a tre milioni di dipendenti pubblici, in carattere chiaramente informale, mostrando quindi la volontà di raggiungere il singolo cittadino scavalcando giornalisti e sindacati. Conclude sottolineando che si tratta di una comunicazione molto diversa da quella di qualche anno fa: «è più diretta, semplice e seduttiva, perché la crisi è stata ed è tuttora forte e i cittadini sono conseguentemente più sensibili».

Giuliano Santoro è l’ultimo a parlare, sostenendo che «le cose migliori sono sempre venute dal basso. Negli ultimi anni – spiega – ci sono state, ma hanno incontrato un muro di gomma che le ha soffocate. Un esempio è l’onda studentesca che si oppose alla Riforma Gelmini».

L’anomalia della comunicazione italiana non consiste quindi nelle mancanza di fatti o competenze, quanto più nel vizio di supplire alla crisi della rappresentanza con le rappresentazioni, dando l’impressione che esista una sorta di guerra civile politica simulata. Secondo Santoro «il giornalismo oggi diventa una tecnica per smontare quei frame che vengono offerti dagli uffici di comunicazione politica, affamati di concetti trasversali ripetitivi oltre che vuoti di significato, come il concetto di ‘invidia’ (“chi mi critica è invidioso”) e i fantomatici ‘professoroni’». Il giornalismo politico corretto è, in conclusione, quello che si occupa di evitare queste argomentazioni fasulle, in favore di una comunicazione meno piatta e più accattivante.

 Matteo Goggia

@TeoGoggia