Disinformazione e propaganda: il ruolo (sottovalutato) della TV

L’obiettivo dell’incontro, che si è tenuto durante il Festival Internazionale del Giornalismo e introdotto da Giovanni Boccia Artieri dell’Università di Perugia, è quello di discutere di informazione e di propaganda politica partendo dal ruolo sottovalutato della televisione, per poi allargare l’analisi anche ad altri mezzi di comunicazione, in particolare ai social media.
In realtà, grazie alla professionalità di Nando Pagnoncelli, presidente dell’IPSOS, una società che si occupa di analisi e ricerche di mercato, e agli approfondimenti di Sara Bentivegna, dell’Università La Sapienza, il discorso si è spinto molto più in profondità, andando a toccare, tra le altre cose, il tema del preoccupante scostamento che esiste nel nostro paese tra la realtà dei fatti e la loro percezione. “L’Italia -spiega Pagnoncelli- è il paese in cui lo scostamento tra percezione e realtà è più elevato.” Le percezioni guidano infatti le opinioni e i comportamenti delle persone: il dott. Pagnoncelli, dati alla mano, fa l’esempio della percezione del fenomeno dell’illegalità. In Italia, una persona su due crede che ci siano molti più clandestini che immigrati regolari, e solo il 16% delle persone ha la corretta percezione del fenomeno della migrazione. Infatti il dato reale è che ci sono 5 milioni di stranieri regolari e solo 5/6oo mila clandestini.

Che ruolo hanno la televisione e gli altri mezzi di comunicazione in questo processo di distorsione della realtà nella formazione delle opinioni dei cittadini? Innanzitutto, quando si parla di disinformazione e manipolazione nel dibattito pubblico e giornalistico, ci si concentra prevalentemente (ed erroneamente) su internet e i social media, tralasciando il ruolo della televisione. L’ecosistema mediatico, negli ultimi decenni, si è arricchito esponenzialmente: ognuno di noi è raggiunto quotidianamente da stimoli mediatici di natura molto diversa rispetto agli anni ’80, quando il numero di input informativi era molto inferiore (di fatto, le uniche fonti informative erano la tv, la radio e i giornali). Al giorno d’oggi, siamo esposti ad un numero molto maggiore di stimoli informativi: sono quasi sette volte tanti rispetto a circa trent’anni fa. La televisione continua ad occupare saldamente il suo posto all’interno del ventaglio dei media di riferimento anche al giorno d’oggi: infatti, secondo i dati CENSIS, un istituto di ricerca socio-economica, il 92% degli italiani dichiara di guardare la televisione (nel 2007, era il 93%). Come sappiamo, purtroppo, ciò che invece sta regredendo moltissimo è la stampa: nel 2007, il 67% degli italiani dichiarava di comprare i quotidiani, nel 2017, solo il 36%. Si abbassa anche notevolmente la percentuale di coloro che comprano settimanali e, in generale, i libri. Cresce invece internet: il 75% degli italiani dichiara di utilizzare internet nel nostro paese come fonte di informazione.

Il nuovo sistema generale dei media crea relazioni di tipo diverso, tra diverse tipologie di pubblico: di fatto la segmentazione dell’audience è funzionale a una maggior incidenza della dieta mediatica nei nostri comportamenti quotidiani, in sostanza nella nostra vita. “Cambia il modo in cui ci informiamo -prosegue Pagnoncelli- e questo non è irrilevante nella formazione delle nostre opinioni. A seconda dei gruppi sociali e socio-demografici, le diete mediatiche cambiano”. Il presidente di IPSOS si riferisce in particolare alle fratture generazionali e sociali che dividono il nostro paese: per esempio, la tv è ancora la fonte d’informazione e di intrattenimento delle persone adulte e anziane e meno scolarizzate, soprattutto casalinghe e pensionati. Nei giovani e nelle persone più scolarizzate invece prevale l’uso di internet e dei giornali. Questo però non significa che chi usufruisce dell’informazione on-line sappia selezionare saggiamente le proprie fonti informative. Infatti, un terzo degli italiani usa i social media per informarsi. “Uno dei paradossi -commenta Pagnoncelli- una sorta dei eterogenesi dei fini nei social, è proprio questo: i social sono sociali, e quindi dovrebbe essere un’arena in cui ci si confronta, dove si confrontano le idee e pareri diversi, si dialoga. In realtà stanno diventando sempre di più il regno dell’omofilia: cioè io mi confronto con le persone che la pensano come me, ed espello tutte le altre”.

Un altro tema che non può essere tralasciato è quello della circolazione delle fake news sui social: delle dieci notizie più condivise sul referendum costituzionale del 2016, per esempio, cinque erano fasulle e cinque erano vere. Quella che ha avuto il maggior numero di condivisioni è risultata essere una bufala. Le fake news hanno un grandissimo rimbalzo anche sugli altri mezzi di comunicazione, effetto che causa un ampliamento della platea di coloro che non hanno i mezzi per distinguere notizie vere da notizie false. L’Italia non è il solo paese in cui, durante una campagna politica, aumenta a dismisura il numero di fake news: basti guardare al caso di Trump negli Stati Uniti o a Bolsonaro in Brasile.In generale, quello che emerge, è che buona parte degli italiani non è in grado di riconoscere una fake news da una notizia vera. A riguardo Pagnoncelli sostiene, sempre statistiche alla mano, che “4 italiani su 5 dicono che ci sono così tante notizie contraddittorie che alla fine non si sa più a cosa e a chi credere”. Inoltre, continua, “uno su due, cioè il 48%, dice di non attribuire importanza ai fatti di politica e ai temi sociali, decide solo di credere a ciò a cui vuole credere. Allora stiamo parlando di una realtà su misura che prescinde dalla realtà fattuale”.

I dati quindi dimostrano che cresce il numero di fonti di informazione, ma non cresce il livello di informazione dei cittadini, anzi, solo 1 su 3 dichiara di sentirsi più informato rispetto al passato.
Si tratta del cosiddetto paradosso della rilevanza: molte delle fonti a cui attingono le persone sono di natura algoritmica, processo che funziona esattamente  come il marketing dove molte volte ci appaiono proposte on-line che tengono conto delle nostre scelte passate. Lo stesso avviene con le notizie. “Le fonti algoritmiche -aggiunge Pagnoncelli- sono prevalenti rispetto alle fonti editoriali”, avviene cioè un’auto-selezione delle notizie basate sui nostri comportamenti passati. La conseguenza è duplice perché si perde di vista sia la gerarchia delle notizie, sia la contestualizzazione: operazioni che sono sempre state a carico dei giornalisti. In ogni caso, l’effetto più grave è uno spaesamento e un impoverimento dell’individuo.

Dopo un rapido excursus di tre campagne comunicative di successo, quella di Obama, di Salvini e Berlusconi, il testimone passa alla professoressa Sara Bentivegna, che sottolinea come la tv sia rimasta al primo posto nel mercato dell’attenzione, e di come continua a essere un player fondamentale nel mondo delle fonti informative. Secondo i sondaggi l’81% delle persone sostiene che ci siano troppe notizie, e che sia sempre più difficile gestire la complessità dell’informazione. La gente è sottoposta a una sorta di stress cognitivo, che la porta ad affidarsi a network con qualità informativa bassa. Occorre quindi riflettere sulla “necessità di forme di ri-mediazione” e ripensare la raccolta di informazione in modo diverso, conclude Sara Bentivegna. Occorre cioè pensare a una modalità distinta di usufruire del buon giornalismo e, soprattutto, tornare a proporre buon giornalismo.