Dov’è la voce dell’Europa? L’appello di Wolfgang Blau

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Foto: Simona Lodato

“L’Europa ha bisogno disperatamente di un voce” diceva diversi mesi fa Wolfgang Blau, responsabile delle strategie digitali di The Guardian, a L’Espresso. E oggi è venuto a spiegarlo al Festival, nel keynote speech “Senza media paneuropei. Siamo pazzi?“, che si è tenuto nella meravigliosa Sala dei Notari, alle 12.00. Ha aperto la conferenza Mario Tedeschini Lalli, vicedirettore per l’innovazione e lo sviluppo dell’Espresso, oltre che responsabile internazionale della Online News Association (ONA), la maggiore organizzazione mondiale di giornalisti digitali.

Un discorso provocatorio, ma molto illuminato quello di Blau, che vanta una brillante carriera in diverse organizzazioni mediatiche, tra cui Die Zeit. In particolare il suo lavoro nella Silicon Valley a fine anni ’90, lo ha reso un pioniere sui temi legati alla rivoluzione digitale.
Il suo ragionamento parte da una domanda: com’è possibile che nell’Unione Europea, la prima economia al mondo, dove gran parte dei 500 milioni di cittadini legge e parla l’inglese, non esistano organizzazioni mediatiche di scala adeguata che parlino agli europei in quanto tali?

Se leggessimo solo giornali americani e britannici ci faremmo un’idea molto parziale del progetto europeo: vedremmo l’UE come un progetto puramente economico sul suo letto di morte. Questa visione però non corrisponde alla realtà dei fatti; gli europei, alcuni anche tra i britannici, si sentono tali, quando si fa riferimento alla cultura comune del vecchio continente. Pensate banalmente a quanto ci sentiamo uguali tra europei quando ci capita di aver a che fare con gli asiatici. I problemi e l’avversione nei confronti dell’Europa nascono quando si pensa alle istituzioni comunitarie, tra cui l’euro.

Blau ha continuato il suo discorso ricordando la storia dell’idea di Europa unita: già Dante pensava ai vantaggi di un’unificazione sotto un unico imperatore per contrastare il potere della Chiesa, e nel 1693 l’inglese William Penn, poi fondatore della colonia di Pennsylvania, auspicava la costituzione degli Stati Uniti d’Europa. Allo stesso modo anche Kant, Victor Hugo, e ovviamente Mazzini hanno riflettuto sull’identità europea, e sulla possibilità di creare un organismo sovranazionale. Da sempre dunque l’idea di Europa è stata oggetto di amore. Ma anche di timore.

Chi oggi potrebbe investire in una startup d’informazione paneuropea però obietterebbe: quale sarebbe il target di lettori? Chi è interessato all’Europa? Blau ha rimarcato che, se da un lato pochi vogliono sentir parlare della Commissione Europea, tanti cittadini dell’Unione sarebbero interessati a un giornalismo più approfondito e continuativo sulle tematiche culturali europee, dal calcio al lifestyle, come rivelano i sondaggi dell’Eurobarometro. Secondo Blau la copertura mediatica di queste tematiche nei vari paesi non è soddisfacente oggi. Questo perché nelle redazioni tradizionali si ragiona in termini di due categorie: interni ed esterni. Spesso pare che l’UE sia un paese estero.

A causa di questa tendenza l’Europa non è in grado di vantare una voce propria sul panorama mediatico internazionale. Anche se certe pubblicazioni, in modi diversi, hanno avuto e hanno ambizioni del genere (sono state citati The European, The Economist, Presseurop, Euronews), Blau ha sottolineato come tra i primi venticinque organi mediatici al mondo non sia presente nessun network europeo, escludendo tre testate britanniche. The Guardian si è espanso negli Stati Uniti e in Australia, ma ancora non ha investito su un target paneuropeo, per quanto il suo sito venga molto visitato anche negli altri paesi dell’Unione.

Quali sono le ragioni per cui ancora non esiste un grande media paneuropeo dunque? Le difficoltà sono tante, ma si possono essere viste come sfide. Ad esempio, per quanto l’Europa non sia unita dal punto di vista linguistico, metà della popolazione non ha difficoltà a leggere l’inglese. Poi c’è sicuramente la questione degli investimenti, particolarmente delicata in questo periodo di crisi. Ma il vero ostacolo da superare è legato alla mentalità delle persone: ogni europeo considera grande il suo paese, senza rendersi conto delle differenze dimensionali con realtà come gli USA, la Cina, il Brasile. Questo limite culturale potrebbe risultare problematico di fronte all’invito a considerare l’Europa nel suo insieme.

Tra breve non avrà più senso l’inesistenza di media paneuropei. Per spiegare questo concetto Blau ha evocato la celebre considerazione che Metternich aveva del nostro paese all’inizio del XIX secolo: considerava la parola Italia una mera espressione geografia. Le identità non sono davvero eterne e coerenti, e le società più grandi sono quelle che tengono in considerazione valori diversi tra loro, senza preoccuparsi di essere fluide.
“Tendiamo a sovrastimare le differenze culturali tra i vari paesi europei” ha ripetuto Blau in conclusione. Mario Tedeschini Lalli ha domandato come si potrebbe costruire una voce davvero europea, e Blau ha ammesso di non avere risposta. Ma ha invitato tutti noi a iniziare a pensarci su.

Ludovica Lugli