Dove va il mercato dei media online: innovazione nei modelli di business

Andrea Rangone dirige un Centro Ricerche del Politecnico del Milano, l’Osservatorio di Digital Innovation, che studia come i nuovi media generati e guidati dallo sviluppo di internet stanno modificando il mercato italiano.

La prima parte della sua presentazione, in occasione del IX Festival Internazionale del Giornalismo, si concentra su un’analisi del mercato italiano dei media e suoi suoi ultimi sviluppi. In generale, l’intero mercato ha perso, dal 2008 al 2014, ben il 17% del suo share, equivalente alla impressionante cifra di 3,2 miliardi di euro. I numeri sono ancora più drammatici se andiamo a considerare esclusivamente il comparto advertising: qui ben il 25% del mercato è andato bruciato negli ultimi sei anni. Rangone parla di un mercato in shake-out, in subbuglio, e nota che la performance è anche peggiore se comparata a quella europea, dove è stato perso solo il 4% dello share totale.

Rangone passa poi ad argomentare come si è sviluppata la segmentazione del mercato complessivo dei media in questo stesso periodo di tempo. Mentre il peso del mercato televisivo – grazie alla pay-tv – è addirittura cresciuto, dal 51 al 54%, la carta stampata è crollata dal 40 al 29%, rimpiazzata in qualche modo dall’online che passa dal 5 al 14%. Se ci concentriamo sulla pubblicità, invece, la TV scende dal 53 al 47%, il print media crolla drammaticamente dal 31 al 18%, mentre il web diviene sempre più importante. In entrambi i casi, la radio resta una nicchia del 5%. Se andiamo a comparare il mercato italiano con i mercati internazionali, andremo a scoprire che il nostro paese è una specie di enclave americana (che ha più o meno le stesse percentuali di share tra le diverse categorie) in un’Europa che ancora tiene un po’ di più alla carta stampata.

Focalizzandosi sul mercato online, Rangone nota una crescita superiore al 100%, da 0,95 a 2,1 miliardi, basata soprattutto sull’advertising (i contenuti pagati valgono solo il 5%). I media che nascono tradizionali, nelle loro versioni online, sono inoltre passati a detenere dal 40 a solo il 25% del mercato web, bruciando ben 4,7 miliardi di euro.

Foto di Bartolomeo Rossi

La seconda parte della presentazione si concentra sullo sforzo di Rangone e i suoi colleghi dell’Osservatorio nel costruire un framework di possibili innovazioni che i media possono attuare online.

I media online possono creare valore dai propri contenuti venduti in formato premium, riproposti in maniera molto più originale di come vengono presentati sul print media. Oppure darsi al corporate storytelling, e quindi farsi sponsorizzare storie in cui introducono dei prodotti. Altre formule di innovazione includono la vendita di valore aggiunto come consigli e guide di esperti in taluni campi specifici (l’esempio è Craftsy, che si dedica a tutto ciò che riguarda la casa e la sua cura) o la lead generation, cioè la vendita di profili segmentati.

Un altro genere di arricchimento dei media online consiste nel modo in cui scelgono di creare e presentare i loro contenuti, in un’era di information overlad. Alcuni si affidano ancora, per la selezione di contenuti di qualità – e potenziale viralità – al lavoro umano, ma gli esperimenti di maggiore successo sembrano essere quelli che usano un algoritmo, come Flipboard e BuzzFeed. Un altro genere di innovazione online consiste invece nell’affidarsi al crowdsourcing, cioè alla creazione di contenuti da parte dei follower stessi del media, che passano così dall’essere semplici users al divenire produsers.

L’ultimo genere di innovazione consiste nell’uscire dal proprio core business, cioè dalla pura produzione di contenuti giornalistici. Ci sono noti esempi di gruppi editoriali che hanno sviluppato advertising platforms – come Axel Springer con Xanox.org – così come società di digital marketing o eCommerce.

Qualcuno dal pubblico si chiede se l’unico futuro dei media, oltre a essere online, debba necessariamente passare per un’uscita dal core business del giornalismo duro e puro verso un approccio molto più influenzato, orientato – se vogliamo distorto – dal business, dal marketing, dall’ecommerce. Rangone risponde che, pur essendo consapevole delle possibili criticità, l’unica via sembra essere lo sfruttamento del patrimonio già esistente di brands, assets, giornalisti riconosciuti e traffico stabilizzato verso un approccio sempre più business-oriented. A scapito della qualità?