Élite e Popolo

Quando si parla di una minoranza ricca, la cosiddetta élite, e una maggioranza più povera, ovvero il popolo, è molto facile cadere in risposte facili e banali e perdere la complessità del ragionamento. Paolo Flores d’Arcais, direttore di MicroMega e Ernesto Galli della Loggia, editorialista del Corriere della sera, spiegano i loro pensieri e le loro convinzioni sulla vera essenza di élite e popolo.

L’èlite

La contrapposizione tra questi due gruppi viene costantemente messa in discussione da politici e giornalisti, poiché seppur esistendo da sempre rimane un tema attualissimo e radicato nella nostra società. Su questo concetto Flores d’Arcais pone già dei dubbi: “Io credo che la contrapposizione tra élite e popolo sia non solo insensata, ma anche fuorviante.” Continuando il ragionamento, la considera assurda proprio perché dietro al termine élite si raggruppano realtà più molto diverse tra loro. “In una società – spiega Flores d’Arcais – sono certamente delle élite per esempio gli alti comandi militari, come il top della ricerca scientifica, ma è evidente che le due realtà hanno pochissimo in comune, forse nulla. Ciò che le caratterizza è ciò che le differenzia massimamente. Sono delle élite quelle della religione o religioni più importanti in un determinato paese, sono delle élite quelle intellettuali, eppure molto spesso queste élite possono trovarsi in aspra polemica e rappresentare mondi che hanno ben poco in comune.” Secondo Flores d’Arcais anche se consideriamo una singola élite, all’interno di essa dovremmo trovare delle componenti disomogenee e conflittuali. Per capire meglio questo concetto lo possiamo subito applicare alla politica: “Le élite politiche, in una democrazia che funziona, dovrebbero essere conflittuali. Perché ciascuna élite di una parte politica dovrebbe rappresentare interessi e valori in contrasto, in competizione, in conflitto con altra élite politica”.

Se ci troviamo di fronte ad élite politiche simili tra loro, ovvero la famosa “casta indifferenziata” significa che qualcosa non funzione: significa che la democrazia è in crisi. Ogni gruppo di queste minoranze privilegiate dovrebbe dunque essere ben distinguibile: ognuna di loro dovrebbe avere dei poteri per agire in una determinata area sociale. Se si pensa ai magistrati, per esempio, viene spontaneo etichettarli come élite per il loro status e il loro reddito, ma abbiamo anche ben presente la ragione per il quale costituiscono una minoranza. “Se resta fedele alla sua funzione – spiega Flores d’Arcais – dovrebbe essere l’élite che più di ogni altra garantisce i cittadini in quanto cittadini. Qualcuno un tempo parlò dei magistrati come del potere dei senza potere: per cui la stessa espressione élite è fuorviante”.

Il popolo

“Il popolo non esiste. – afferma ancora Flores d’Arcais – Se sociologicamente parliamo di tutti coloro che non hanno privilegi di nessuna delle élite che possiamo elencare, noi abbiamo certamente una massa che rappresenta la maggioranza schiacciante di una popolazione. Eppure questa maggioranza schiacciante è articolata e differenziata al suo interno e estremamente mobile quanto alle posizioni politiche, agli interessi e ai valori che al suo interno di volta in volta possono essere più rilevanti”.

Quando parliamo di popolo la nostra mente va automaticamente ad escludere qualsiasi persona che abbia un minimo di potere: le masse, la maggioranza e, a seconda del periodo storico, coloro che subiscono. Se pensiamo alla rivoluzione francese pensiamo ad un grande popolo unito contro il potere del re, ma se pensiamo alla Germania nazista pensiamo a enormi masse di persone ipnotizzate e favorevoli al potere di Hitler. È lo stesso popolo? Sì. Possiamo dunque dire che nel tempo le élite sono rimaste le stesse, cambiando solamente il nome, ma il popolo? Il popolo si è differenziato sempre di più: la globalizzazione ha distribuito la conoscenza a tutti, ma non la ricchezza. È dunque di un altro popolo che stiamo parlando? O forse un popolo, come dice Flores d’Arcais, non è mai esistito?

“Il popolo è in realtà una costruzione politica – ricorda il filosofo – ed è catalizzato da una serie di scelte politiche che indicano degli obiettivi positivi, un programma e dei nemici da combattere.” La vera contrapposizione che può sorgere, ha dunque spiegato Paolo Flores d’Arcais, non è tra élite e popolo, ma tra il mondo dell’establishment, del privilegio, e quello che si batte per l’uguaglianza. Più che di uguaglianza però, oggi si parla sempre di più di disuguaglianza e di guerra fra poveri. Questo accade perché il popolo non riesce a trovare il vero colpevole nella minoranza privilegiata e allora cerca qualcuno con cui prendersela. Qualcuno con cui sfogare la propria rabbia e frustrazione, nata dopo anni in cui la diseguaglianza sociale si è accentuata. I privilegiati sono sempre più privilegiati e i più poveri sempre più poveri e emarginati, come ricorda Flores d’Arcais. È a questo punto che si cerca e si trova un capro espiatorio: l’immigrato.

Il potere

Secondo Galli della Loggia la contrapposizione tra élite e popolo esiste sia in Italia che nel resto dei paesi occidentali. Ma non solo, esiste anche un elemento fondamentale che la caratterizza, ovvero il potere del popolo limitato al solo giorno delle elezioni e successivamente destinato a svanire: “Nel giorno delle elezioni i cittadini sono sovrani, ma subito dopo che hanno eletto i loro deputati tornano ad essere schiavi”.

Nessuno infatti, nel momento del voto, ottiene la garanzia di veder concretizzate e mantenute le promesse fatte dai politici in campagna elettorale. Da qui nasce il clima di sfiducia nelle istituzioni politiche e nella classe politica in generale. Il problema nasce anche dal fatto che non è il semplice politico a creare, approvare e mettere in atto le leggi. Dietro al politico vi sono una serie di figure che hanno in mano il potere ma che non sono state elette dal cittadino e non lo rappresentano: i ministeri, i funzionari, i giudici, solo per citarne alcuni.

“Schumpeter – ricorda il colonnista del Corriere della Sera – diceva che la democrazia è semplicemente questo: due élite che si fanno concorrenza il giorno delle elezioni e poi quella che vince riceve il potere e per 5 anni fa quello che vuole. […] Chi vota poi non ha nessuna influenza vera, può naturalmente nelle elezioni successive sconfessare il voto di chi ha governato fino ad allora”. Ma una reale alternanza di élite è davvero possibile? La storia italiana ci dimostra di no. Come spiega Galli della Loggia, per quanto il popolo possa esprimere il suo voto, si crea un élite che al 70% è sempre la stessa: il mito di sostituire tutti quanti è uno slogan che va bene per un comizio ma che poi nella realtà non funzione.

Ma in questo modo come può sopravvivere la democrazia? Il ruolo delle elezioni elettorali che tentano un ricambio politico sempre più vasto aiuta, ma non risolve il problema. Secondo il professore le problematiche da risolvere sono tre: la prima è la mancanza di soldi, che permettono di concretizzare le promesse fatte in campagna elettorale. “Quando non ci sono i soldi – spiega Galli – non si è più in grado di soddisfare le richieste degli elettori e a quel punto chi governa appare soltanto colui che governa, che ha quindi ricevuto qualcosa di onorifico e di potere e non dà in cambio nulla: non è in grado di restituire più nulla a chi lo ha eletto”. La seconda è la sfiducia dell’elettore che considera il voto una cosa inutile: questo secondo Galli della Loggia accade nel momento in cui l’Italia è soggetta alle politiche europee. “Quando più del 50% della legislazione applicata ad un paese – continua – non viene più dal parlamento e dal governo eletto, bensì da un’altra fonte esterna, e non sto giudicando se questo sia bene o male, ma quella fonte non può che essere sentita come estranea rispetto al meccanismo elettorale, ovvero dell’espressione della volontà popolare”. La terza e ultima problematica è individuata da Galli della Loggia nella diversità culturale tra eletti e elettori. “Quando tra l’insieme dei governanti inteso in senso ampio, la classe politica – spiega – e l’altra parte della popolazione incominciano ad esserci differenze culturali molto forti allora c’è un drammatico problema di non riconoscimento”.

Il carattere multiculturale dell’Europa crea quindi diversità tra élite e popolo, accentuata poi dall’arrivo di una cultura terza: i migranti. Qui si conclude il discorso, o meglio, si apre. Questo è il grande tema dell’accoglienza, che è destinato a rimanere un dibattito che coinvolge solo le élite e un problema percepito dal popolo che dovrà affrontarlo.