Fake news vs libertà d’espressione: bilanciamento complesso!

La sala dei Priori dell’Hotel Brufani ha ospitato l’intervento di Matteo Jori, avvocato e professore a contratto di Diritto dei Prodotti Digitali e Comunicazione Digitale presso l’Università degli Studi di Milano. L’evento dal titolo “Fake news: diritto all’informazione e responsabilità” ha affrontato la spinosa questione della libertà d’espressione online e la possibile diffusione di notizie false.

Jori ha introdotto la problematica delle fake news riportando l’intervento trumpiano post – vittoria presidenziale dell’11 Gennaio 2017, nel quale Trump attacca alacremente la stampa, accusandola di discredito sulla sua persona e di disinformazione tramite “fake news”. Pochi giorni dopo le parole del Presidente americano, è tornato alla ribalta il tema delle notizie false come chiave di ricerca più cliccata su Google.

Nel 1996, ha spiegato Jori, è stato promulgato il Communication Decency Act con lo scopo di controllare la diffusione di materiale lesivo del pudore, oggi anche con strumenti telematici. Questo documento sottintende la dicotomia tra la possibilità di limitare la capacità di manifestazione del pensiero e la forte tutela di tale diritto incarnata dal Primo Emendamento. Si può limitare la “Freedom of speech”? Jori ha precisato che il diritto alla libertà d’espressione, quale diritto di rango primario, possiede precisi vincoli e si esplica in modi differenti. Questi ultimi non prevedono solamente la libertà di parola e di scrittura, ma anche la possibilità di esprimersi con altre fonti comunicative quali il cinema, l’arte e la musica. Il vincolo principale alla libertà di manifestazione del pensiero è il reato di diffamazione. Jori ha ricordato, infatti, che “un diritto può essere limitato nella misura in cui la limitazione è necessaria affinché lo stesso diritto o un diritto di pari rango sia esercitato da altre persone”. Tali termini vanno interpretati anche a tutela della reputazione personale, che non deve essere lesa e compromessa.

Oggigiorno le nuove tecnologie permettono un ampliarsi del ventaglio di possibilità di espressione personale. In passato non tutti hanno avuto la possibilità di esporre il proprio pensiero liberamente. Invece nell’era digitale, blog e social networks permettono di raggiungere un audience potenzialmente illimitato, a costi ridotti. Alcune delle caratteristiche che Jori ha ricondotto ai social media sono: la velocità, la viralità, l’anonimato e l’immortalità. Quest’ultimo aspetto si ricollega direttamente al “Right to be forgotten”. Infatti, la persistenza delle informazioni in rete rende problematico il rispetto del diritto all’oblio.

Jori ha distinto le fake news dalla diffamazione. Anche se spesso le due dinamiche sono connesse, non è detto che una fake news sia diffamante, così come si può fare diffamazione anche con notizie vere, qualora non si applichi il diritto di cronaca e non vi sia un interesse pubblico rilevante. Pure la satira si distingue dalle fake news, che si riferiscono non tanto alle opinioni quanto ai fatti. Jori ha dimostrato che pagine come Lercio sono considerate apertamente ironiche, poco manipolatorie e prive di pretese di credibilità.

Altro distinguo affrontato da Jori è quello tra disinformazione e misinformazione. Il primo termine si riferisce alla pratica di chi, coscientemente, attua una narrazione distorta per perseguire uno scopo specifico. La seconda voce richiama chi diffonde notizie false inconsapevolmente, contribuendo così alla disinformazione (es. retweet di notizie non verificate). In base a tale incertezza informativa che si viene a creare, Jori si è chiesto: “Qual è la diligenza richiesta?”. Questa deve variare in relazione al soggetto di riferimento che veicola l’informazione. In generale si distingue l’utente generico, il professionista-giornalista e il content provider, quale piattaforma terza che veicola le notizie.

Le fake news, ha mostrato Jori, possono circolare per diverse motivazioni. Queste possono essere di natura economica (es. clickbait), politica e manipolatoria dell’opinione pubblica. Quindi a livello legislativo, citando anche il Disegno di legge n. 2688 da poco presentato, ci si è chiesto se siano necessarie nuove forme di regolamentazione della materia. Jori ha proposto diversi articoli normativi che possono essere ricollegati alle fake news. L’art. 595 c.p. si riferisce alla diffamazione (comma I-III) e, se è anche veicolata online, si parla di “diffamazione aggravata”. L’art. 2598 c.c. riporta la fattispecie della concorrenza sleale (comma II-III). L’art. 501 c.p. richiama l’aggiottaggio. L’art. 2043 c.c. si riferisce alla responsabilità extra contrattuale. La notizia falsa può, inoltre, creare una turbativa all’ordine pubblico e ciò riprende l’art. 656 c.p. in riferimento alle notizie false, esagerate o tendenziose. Infine ci sono norme specifiche per il mondo della stampa, in relazione all’art. 57 c.p. che riconosce la responsabilità del direttore del giornale per la mancata verifica delle fonti.

E la responsabilità degli ICP? Jori ha fatto notare come certe notizie false assumano maggior rilevanza, visibilità e risonanza tramite le piattaforme e i players che veicolano le stesse. A livello legislativo è stata richiamata la direttiva comunitaria sul commercio elettronico 2000/31/CE introdotta nel nostro ordinamento dal Dlgs 70/2003. La normativa in questione non riconosce una responsabilità agli ICP se mettono in atto un atteggiamento passivo nei confronti della diffusione delle informazioni (“mere conduit”). Tale condizione è verificata se il content provider non dà origine alla trasmissione, non seleziona il destinatario della trasmissione e non seleziona né modifica le informazioni trasmesse. Può capitare anche che le stesse piattaforme di trasmissione decidano di mettere in atto un sistema di autoregolamentazione privato, scegliendo quali contenuti tollerare o meno. Jori ha evidenziato la discrepanza tra un privato che gestisce le regole contenutistiche delle proprie piattaforme e uno Stato che sceglie cosa è giusto o sbagliato. Ha manifestato, inoltre, la necessità di un processo educazionale delle nuove tecnologie per gli utenti e l’implementazione della pratica del fact checking.

L’invito è quindi quello di adottare un atteggiamento ponderato e consapevole nei confronti della gestione e diffusione delle informazioni online e delle responsabilità annesse. Qualora si dovesse optare per una riformulazione normativa in materia di fake news con una spinta alla limitazione della libertà d’espressione, bisognerebbe farlo sempre avendo presenti gli sforzi e le lotte passate per ottenere i diritti che si hanno oggi.