Fare giornalismo con Instagram

Foto: Giada Cicognola

Viviamo nell’era dell’immagine. Affermarlo potrà sembrare ormai banale, ma è questa l’evidenza che i settanta milioni di foto caricate ogni giorno su Instagram ci pongono davanti agli occhi. L’immagine è diventata una forma di comunicazione autonoma, un canale che i mezzi di comunicazione devono riuscire a utilizzare e padroneggiare, con tutti i cambiamenti di paradigma che questo comporta.

Ilaria Barbotti ha vissuto in prima persona l’arrivo e la crescita di Instagram in Italia. Nel 2011 ha fondato la community Instagramers Italia, e da allora di strada se ne è fatta: “Ci siamo organizzati in gruppi nazionali, gruppi regionali e gruppi provinciali, ad oggi in Italia vi sono più di 65 community in tutto il territorio”, ha raccontato. Questi gruppi offline organizzano incontri, tour nel territorio, mostre fotografiche e challenge. Sono lo specchio nel territorio del social network, il più attivo per numero di interazioni tra utenti. Chiunque oggi può caricare foto e ottenere risultati soddisfacenti, chiunque può raccontare la realtà che vede ogni giorno, farsi reporter ed essere visualizzato da un vasto pubblico. Il problema sta nel rapporto che si viene a creare tra i social e i giornali tradizionali. Problema per modo di dire, visto che la questione nel resto del mondo è stata già affrontata con ottimi risultati da giornali come il Guardian, il Wall Street Journal o la CNN. Questi giornali svolgono un ruolo non di competizione ma di affiancamento e apertura nei confronti dei creatori di contenuti, che sono diventati non solo ospiti ma protagonisti dei loro spazi.

Non si può dire che la situazione italiana sia altrettanto positiva. Instagram e le sue community sono tanto diffusi in tutto il paese quanto ignorati da tutti i giornali, locali e nazionali. Un’eccezione l’ha raccontata Carlo Mion, della Nuova Venezia. Nel 2012 il quotidiano locale ha rappresentato un fenomeno famoso eppure inedito, quello dell’acqua alta. In breve tempo è nato un turismo “da acqua alta”, tutto il mondo ha ripreso le foto che il giornale ha condiviso e che gli utenti gli hanno mandato. Si è instaurato un rapporto ricco con la community che ha permesso di coprire numerosi eventi, dal carnevale alla Biennale. Tutto ciò è culminato nella nascita dell’hashtag #InstaNuovaVe, tutt’oggi attivo e raccolto nel sito del quotidiano.

La Nuova Venezia è un esempio da seguire, ma perché è ancora un caso isolato? La colpa è della logica del click, che ha come unico obiettivo il traffico che arriva sul sito del quotidiano, che non è (direttamente) accresciuto da piattaforme come Instagram. “Noi delle redazioni – ha sottolineato Carlo Mion – abbiamo bisogno di vedere con gli occhi degli altri quello che succede”. È una questione di lungimiranza e di interesse a rappresentare e dialogare la realtà. L’auspicio di Ilaria Barbotti è che il giornalismo italiano non resti più a guardare e riconosca al più presto il valore di questo nuovo linguaggio.