Un incontro pensato e voluto dagli stessi protagonisti per regalare al pubblico un focus sui tempi del giornalismo d’inchiesta, quello che si è organizzato durante la terza giornata del Festival del Giornalismo di Perugia. E chi meglio del vicedirettore del settimanale L’Espresso coordinatore della sezione Inchieste, Lirio Abbate, e del direttore del quotidiano La Repubblica, Mario Calabresi, per parlarne?
Un confronto, il loro, che ha largamente coinvolto il pubblico presente in sala, molto attivo sia in termini di gradimento che di partecipazione. I lavori realizzati dai due giornalisti nel corso della loro carriera, infatti, non sono sfuggiti alle domande attente e curiose dei tanti lettori che li seguono da anni. Per parlare dei progetti da loro realizzati, però, non si può che partire dal tema del tempo.
“Abbiamo pensato questo incontro – attacca Calabresi – che nasce da una serie di discussioni di cortile, in senso nobile e non ignobile, perché lavoriamo nello stesso Palazzo, […] ci incontriamo spesso […] e la cosa su cui abbiamo più parlato e che ci sembrava interessante è […] come i tempi lunghi siano la risorsa più preziosa per il giornalismo oggi, per il giornalismo di qualità.” Una risorsa preziosa ma, allo stesso tempo, scarsa perché sempre di più nella società attuale avere tempo è un lusso che pochi si possono permettere. Il tempo nel giornalismo è influenzato molto dal tipo di testata su cui si scrive: dal quotidiano, al settimanale, al mensile la differenza è abissale. Proprio per questo, Calabresi, gli chiede di descrivere il suo rapporto con il tempo nel corso della sua carriera.
“Quando sono arrivato all’Ansa – risponde Abbate – arrivavo da un quotidiano regionale dove ero abituato ad arrivare nel pomeriggio, accendere il monitor delle agenzie, vedere le notizie del giorno e su quelle poi ragionare le notizie da mettere in pagina […]. Quando poi arrivai all’Ansa – continua – sono arrivato la mattina presto e ho detto: ‘e ora io le notizie dove le leggo?’ e da lì è cambiato il modo di impostare il lavoro e la vita, che era minuto dopo minuto, secondo dopo secondo.” Ed è proprio sull’esigenza di esserci allo scoccare dell’attimo esatto che si basano le all news e il mondo online e per essere letti è necessario seguire la notizia 24 ore su 24 senza gli stacchi tipici del mondo cartaceo: “Non c’è notte e non c’è giorno”- incalza Lirio Abbate e in un lavoro così impostato il tempo per approfondire la notizia è quasi completamente assente.
Nel settimanale, invece, cambia l’impostazione perché ad essere indagata non è la cronaca di cui si occupa già il quotidiano ma la sfida diventa quella di trovare un dettaglio da indagare che possa essere il bersaglio giusto da approfondire giornalisticamente; quello che distingue quel giornale da tutti gli altri perché si segue, giorno dopo giorno, finché non se ne riesce a dare una sintesi esatta. Per le inchieste serve una minuzia che richiede molto tempo e Lirio Abbate ne ha dedicato parecchio a quella su I quattro re di Roma del 2012 che, iniziata a gennaio, è stata pubblicata nel mese di dicembre. E del tempo concesso ai giornalisti, Lirio ci tiene a ringraziare gli editori che garantiscono a uno o più di loro di concentrarsi anche per più mesi su un unico progetto.
La fiducia degli editori così come la passione che spinge i giornalisti a farsi concedere altro tempo, sono quindi elementi fondamentali. “La cosa per noi importante – spiega Abbate- è credere o comunque vedere a lungo in un obiettivo e in quello investire”. Spesso si vince, altre si perde ma quando si vince, lo si fa bene . Per quanto riguarda ad esempio la vicenda di Rigopiano, Calabresi racconta come La Repubblica avesse tre giornalisti che seguivano la vicenda che riguardava tante persone vittime di una tragedia che ha inevitabilmente colpito anche i sopravvissuti così come tante informazioni da ricostruire che, al momento della vicenda, sembrava un’impresa fare. Proprio per questo il direttore del quotidiano La Repubblica racconta come un paio di settimane dopo un paio di giornalisti gli abbiano chiesto di tornare sul posto della vicenda : “a quel punto – spiega- incontrare le persone era completamente diverso”; una volta che le persone hanno lasciato gli ospedali per tornare a casa per intervistarle serve pazienza. “Rispetto e delicatezza – incalza Calabresi- significa avere tempo. Vuol dire non premere, ma dire ‘ io sono qua, mi piacerebbe ragionare con lei. Mi racconta cosa è successo? Mi spiega? Che riflessioni ha fatto?’ ” e questa persona è liberissima di dire di no, di rimandare a domani per poi non sentirsela di concludere niente perché come sottolinea Calabresi “il rispetto sta anche nell’accettare che possa finire in nulla però magari dopo tempo la persona ti apre la porta di casa, ti fa sedere e ti racconta, soprattutto se ha visto che la stai rispettando” ed è proprio con il rispetto che hanno raccolto un materiale così vasto da coprire otto pagine, quelle che hanno portato alla nascita dell’inserto Super8 che, da quel momento in poi, ha indagato tante situazioni italiane e internazionali.
Ancora più importante è stata la tenacia con cui Fabrizio Gatti, giornalista dell’Espresso, ha ricostruito il naufragio di Lampedusa avvenuto nel 2015, dopo il quale il governo Letta decise di fare l’Operazione Mare Nostrum, per scovare il motivo per cui tante persone che stavano scappando dalla guerra fossero morte quando potevano invece essere salvate. Gatti ha ricostruito informazioni fino a prima sconosciute su chi sarebbe dovuto intervenire, tra il comando della marina italiana e quella maltese, per evitare la disgrazia. Mentre l’inchiesta sta per essere archiviata, Gatti recupera le conversazioni mai sentite, pubblicando gli audio e ricostruendone la storia sul sito dell’Espresso. Dopo di che, continua Calabresi, “ si mette a fare una ricerca che dura un anno e mezzo per trovare i sopravvissuti”. Per convincerli a parlare ci ha messo dai sei mesi a un anno ma, come ricorda Calabresi “dopo questo lavoro la procura non ha più archiviato l’inchiesta ma l’ha riaperta e la Ministra della Difesa Pinotti che non conosceva neanche la storia perché era precedente al suo governo ha aperto un’inchiesta interna alla marina per capire com’è stato possibile che girasse la testa e le navi dall’altra parte.”
“Siamo stati molto contenti – continua il vice direttore dell’Espresso – di investire per un anno e mezzo tanti, tanti, tanti soldi che non sono quelli che abbiamo poi ripreso perché non è quello alla fine l’obiettivo bensì fare giustizia”
e per farla serve un lavoro lungo, puntiglioso e costante del giornalista che si appassiona ad una storia e non la molla finché non riesce a raccontarla.