Il panel, tenutosi nella Sala dei Notari sui giornalisti in prima linea e cronisti sotto scorta, doveva vedere quattro protagonisti. Purtroppo sono stati solo tre, perché pochi giorni fa Paolo Borrometi, direttore di Articolo21 e del quotidiano online La Spia, è venuto a conoscenza dell’esistenza di un piano per un’attentato nei suoi confronti ideato dal clan mafioso di Pachino, che gli aveva già rivolto numerose minacce per alcuni suoi articoli. Scosso per la notizia, non se l’è sentita di partecipare.
I suoi colleghi Silvio Aparo, Nello Trocchia e Federica Angeli hanno voluto manifestare, a inizio panel, la loro solidarietà per il collega, chiedendo alla sala di fare altrettanto.
Silvio Aparo, direttore di VoxPublica.it, giornale online di recente fondazione, dopo molti anni passati nella redazioni di diversi giornali, ha deciso di dedicarsi alla sperimentazione di nuovi formati di informazione. Secondo lui il giornalismo è arrivato a un momento di forte transizione, che coinvolge in particolare le varie figure protagoniste nella realtà di un giornale: dalla quella dell’editore fino a quella del finanziatore, soffermandosi in modo particolare sulla figura del lettore. Secondo Aparo il giornalismo italiano dovrebbe chiedersi se ha davvero scelto di avere solo il lettore come suo unico padrone. Soprattutto in relazione alle altre realtà europee. Ci sono diversi esperimenti di giornali online che hanno avuto grande successo: è il caso di MediaPart in Francia o di Info Libre in Spagna, che hanno scelto di essere sostenute esclusivamente dai lettori, senza l’intervento di inserzionisti.
Aparo prosegue sostenendo che il vero problema non sta tanto nel modello di giornalismo quanto nel tipo di mentalità. Il giornalista deve essere un soggetto dalla coscienza libera, che non deve dipendere da qualcuno. Il suo VoxPublica.it è in tal senso un progetto di giornale online che tiene conto di tutti: dall’investitore privato, allo sponsor, fino al lettore, in un sistema dove nessuno è azionista di maggioranza e nessuno controlla il giornale. Le figure più importanti sono i giornalisti.
Fino a ora VoxPublica.it si è occupato e si sta occupamdo di due inchieste importanti: il caso Brioni (per cui il giornale è coinvolto in due cause penali e in una civile) e un’inchiesta sulla sostenibilità economica dei partiti, nello specifico quello del M5S.
Nello Trocchia, inviato della trasmissione Nemo – nessuno escluso su Rai 2, inizia il suo intervento dicendo che, se si parla di giornalisti in prima linea, si suppone che ce ne siano anche in seconda e terza. Significa forse che ci sono diverse modalità di fare questo mestiere? Se fosse così, si tratterebbe allora di un problema di categoria e di professione. Troppo spesso i giornalisti si trovano a dover raccontare la quotidianità di questo lavoro mentre dovrebbero occuparsi solo di raccontare i fatti. Non dovrebbero neanche assurgere al ruolo di personaggi o di eroi. Trocchia cita proprio il caso Borrometi, diventato un obiettivo sensibile, dopo aver pubblicato una documentata inchiesta sui presunti brogli elettorali nel comune siciliano di Noto. Borrometi è stato l’unico ad aver avuto il coraggio di trattare un argomento difficile, come quello della situazione del territorio netino, esponendosi in prima persona, il che rende inaccettabile che, per aver fatto il suo lavoro, debba vivere sotto scorta, mentre i criminali che lo minacciano sono ancora liberi di muoversi a piede libero.
Trocchia stesso è stato vittima di un’aggressione fisica a Vieste per il solo fatto di essersi recato, come inviato di una trasmissione della tv nazionale, in un territorio dove sono presenti tre diverse organizzazioni criminali. Quando in certi territori si è in pochi a raccontare queste cose, significa che in questo paese esistono delle zone franche, dove è possibile che i consigli comunali vengano sciolti per infiltrazione mafiosa, dove degli innocenti possono morire e dove possono essere pianificati attentati contro dei giornalisti.
Il giornalista si ritiene fortunato perché alle spalle ha un grosso gruppo editoriale e può contare sul supporto di legali (come gli è recentemente capitato in seguito alla sua inchiesta sull’Università Telematica Pegaso, pubblicata su L’Espresso, per la quale si è visto richiedere un maxi risarcimento per 39 milioni di euro), ma il suo pensiero va a coloro che non possono contare su queste forme di tutela. Il piccolo editore o il piccola giornalista che si scontrano con qualcuno per ciò che hanno scritto e che non hanno i mezzi per difendersi, la prossima volta decideranno di non scrivere più, permettendo a chi si muove fra traffici poco chiari, attraverso contatti con la criminalità, di continuare impuniti, precludendo ai cittadini la possibilità di essere informati in maniera corretta.
Ultimo punto da affrontare, secondo Trocchia, è la mancanza di un provvedimento legislativo a tutela dei giornalsiti coinvolti in cause legale per diffamazione, a seguito di articoli o inchieste da loro condotte. In tal senso, dovrebbe essere previsto il versamento di una cauzione da parte del querelante, destinata in parte a coprire, in caso di prosciogliemento del querelato, le spese da lui sostenute, e in parte dovrebbe confluire in un fondo per le spese legali dei giornalisti coinvolti in futuri procedimenti. Il motivo per cui, ad oggi, il legislatore non abbia ancora messo mano ad un provvedimento di questo tipo sta nella rete di interessi che, in Parlamento e nel Governo, legano a doppio filo poteri bancari e imprenditoriali a settori opachi della nostra società e, talvolta, allo stesso crimine organizzato. Fino a quando ci saranno questo tipo di conflitti d’ interesse, non si lavorerà mai per una stampa davvero libera, ha concluso Trocchia.
Federica Angeli, giornalista de La Repubblica, racconta, dal suo canto suo, di come secondo lei non si smetta mai di fare questo lavoro. Da sempre appassionata di cronaca nera e giudiziaria, si è occupata di diverse inchieste “borderline”, come lei stessa le definisce, citandone alcune. Ma da quando è sotto scorta, dopo alcune inchieste sulla malavita organizzata di Ostia, non può più stare sul campo, oltre che per la sua incolumità, anche per tutelare il lavoro dei carabinieri che si occupano della sua sicurezza.
Quando nel 2013 Repubblica inizia un’inchiesta sui delitti che insaguinano le strade della Capitale, Angeli inizia a occuparsi della malavita di Ostia e dei tre clan che si dividono la città: i Fasciani, i Triassi e gli Spada. La difficoltà maggiore riscontrata è stata la resistenza culturale: nessuno, neppure i giudici, erano pronti a riconoscere che esistesse una mafia che parlava in dialetto romanesco. Ma l’Angeli non si arrende e le sue inchieste le permettono di ricostruire il ruolo ricoperto da Armando Spada a Ostia, il boss che in città detta legge, nel tentativo di “fare il salto”, appropriandosi di attività commerciali, con il beneplacito degli uffici amministrativi romani.
La giornalista ha continuato raccontando di come sia riuscita ad incontrare di persona il boss Spada e di come abbiano avuto inizio le minacce. Nonostante lo spavento però è stata ferma la sua decisione di andare avanti perché “dove c’è il buio, prolificano le mafie”.
Per lei tutto cambia nella notte del 16 Luglio 2013, quando è testimone oculare, dalle finestre della sua abitazione, di un agguato ai danni degli Spada da parte di un membro del clan Triassi. Davanti all’omertà degli altri abitanti del quartiere, che accettano l’invito del boss a rientrare perché non era successo niente, e nonostante i tentativi del marito di dissuaderla, lei decide ugualmente di denunciare l’accaduto. Da questo momento è costretta a vivere sotto scorta.
Le minacce non si sono fermate, anzi sono aumentate. Non solo nei suoi confronti ma anche nei confronti dei figli, che tenta di proteggere, camuffando in giochi, qualcosa al quale non è giusto che vengano esposti. Proprio nei giorni scorsi le è stato recapitato un proiettile alla redazione de Il Fatto Quotidiano, ma lei non si ferma. Il 19 Aprile sarà chiamata in aula a testimoniare contro Carmine Spada e suo nipote Ottavio, imputati per il tentato duplice omicidio del 2013.