Gli unicorni delle redazioni: gli specialisti del giornalismo visuale

Hotel Brufani. Alla scrivania della Sala Raffaello hanno preso posto John Crowley, Garrett Goodman, Jacqui Maher e Aron Pilhofer, che per l’International Journalism Festival 2015 si sono fatti portavoce delle dinamiche del data journalism nel corso del panel discussion “Gli unicorni delle redazioni”. Attraverso una vivace conversazione, i quattro hanno presentato la figura dei fautori di questo innovativo approccio alla diffusione delle notizie, gli unicorni delle redazioni. Ma come si potrebbero definire queste creature sfuggenti, un po’ defilate, che lavorano quasi all’ombra delle redazioni? In  realtà attribuire loro un’etichetta precisa non è impresa facile. Potrebbero dirsi dei codificatori, un ponte tra i dati, Internet e l’informazione tradizionale.

A dispetto dell’immagine fatata che suscita tale denominazione, Aron Pilhofer, direttore esecutivo del settore digitale del Guardian, ha tenuto a precisare che l’opera silenziosa degli unicorni non è una questione di magia, bensì di pura tecnologia e di competenze specifiche. Gran parte di loro è costituita da esperti del dipartimento IT che hanno messo le proprie abilità di codifica e di risoluzione dei problemi al servizio dell’informazione. Per dare un’idea concreta dell’importanza del loro ruolo, John Crowley, digital editor del Wall Street Journal, ha fatto riferimento all’episodio del rapper greco antifascista Pavlos Fyssas assassinato nel settembre 2013 da un esponente di Alba Dorata, partito greco di estrema destra. I dati sono stati un punto d’inizio per l’indagine: laddove il reporter non è stato in grado, i tabulati delle telefonate tra l’assassino e i complici sono stati decodificati e interpretati da un unicorno.

A prendere la parola è stato proprio uno di loro, Jacqui Maher, che negli anni ’90 decide di lavorare nel settore della tecnologia. Nel 1999 lavora per la Hearst Corporation e in seguito per alcuni siti, precursori degli odierni social network, come Friendster, Street Easy e Live Nation. La sua carriera di svisceramento della tecnologia la vede attiva prima per il  New York Times e in seguito per la BBC, dove è impiegata tutt’oggi e dove sviluppa nuovi progetti di comunicazione interattiva (BBC News Labs).

È proprio sul concetto di interattività che fa perno il data journalism. Crowley ha enfatizzato il cambiamento radicale che l’informazione ha subìto nell’ultimo decennio. L’evoluzione, dalla staticità della carta stampata al dinamismo dell’informazione digitale, è stata possibile anche grazie al lavoro degli unicorni. Per sottolineare il passaggio dallo storytelling testuale a quello visivo, Crowley ha citato l’immagine del poliziotto mussulmano Ahmed Merabet, ucciso a sangue freddo nella strage di Charlie Hebdo a Parigi. Fino a quella mattina del 7 gennaio probabilmente nessuno lo avrebbe notato. Invece, improvvisamente, grazie a un semplice podcast, quell’agente di polizia è diventato un simbolo di un episodio che resterà radicato a lungo nella memoria di tutti.

Dare voce ai lettori è dunque diventata ormai la chiave di volta della nuova informazione. Al servizio dello storytelling sono stati portati a termine diversi progetti. A tal proposito è doveroso citare lo speciale del sito web del Guardian “Immigrants in their own words (100 stories)”, una combinazione di testi e immagini, editata dai giornalisti ma creata dai lettori. Questa produzione giornalistica di crowdsourcing dà voce agli immigrati i quali, in forma aperta o anonima, raccontano le proprie storie.

Un ulteriore esempio d’impatto che viene riportato da Crowley per supportare l’importanza dello storytelling visivo è quello del “Syrian Journey”, un video game online sviluppato da un reporter e da una ricercatrice della BBC. Lo scopo del gioco è quello di portare a termine i viaggi della speranza dei migranti verso l’Europa. La trovata dell’emittente inglese ha naturalmente sollevato accese polemiche ed è stata fermamente contestata da testate come il Sun e il Daily Mail. Crowley fornisce la sua opinione in merito alla questione citando le dichiarazioni rilasciate in un articolo del Guardian da un’ex-giornalista della BBC, Janet Jones, ora docente di giornalismo presso la London South Bank University: “L’idea che in futuro, le notizie verranno vissute attivamente piuttosto che lette risulta parecchio difficile da immaginare per alcune persone”.

Infine, afferma Crowley: “Dobbiamo imparare a parlare un’altra lingua, la lingua della codifica”. E ancora: “Dobbiamo creare una collaborazione con qualcuno che sappia tradurre un’idea”.

Nella fase conclusiva della conferenza, alla domanda del pubblico “Di quanti unicorni ci sarà ancora bisogno?”, la risposta del panel è unanime: “Di tutti, gli unicorni in redazione non sono mai abbastanza”. E chi può dirlo, magari un giorno si supererà la divisione tra unicorni e giornalisti.