Grazie Snowden, per il giornalismo

Da sinistra Andy Carvin, Jillian York, Carola Frediani, James Ball e Dan Gillmor. Foto: Giovanni Culmone.
Da sinistra Andy Carvin, Jillian York, Carola Frediani, James Ball e Dan Gillmor. Foto: Giovanni Culmone

Al Festival non potevano mancare diversi eventi sul tema dei leaks e delle contromisure per difendersi dalla sorveglianza di governi e delle organizzazioni commerciali. Ieri alle 14.30, al Teatro della Sapienza, una variegata delegazione anglofona è stata protagonista di una panel discussion dal titolo “L’effetto Snowden sul giornalismo”. Ha moderato la conversazione Carola Frediani, co-fondatrice dell’agenzia giornalistica indipendente Effecinque e massima esperta italiana di Anonymous.

Sono intervenuti in primis James Ball, data journalist della squadra investigativa di The Guardian, e Andy Carvin, della squadra di First Look Media, la giovane creatura giornalistica di Pierre Omidyar, fondatore di eBay. Hanno partecipato anche Dan Gillmor, giornalista e professore alla scuola di giornalismo Walter Cronkite dell’Arizona State University, e Jillian York, attivista e Director for International Freedom of Expression all’Electronic Frontier Foundation (EFF), organizzazione no-profit volta alla tutela dei diritti digitali e della libertà di espressione.

Secondo James Ball i giornalisti di tutto il mondo hanno potuto imparare molto da quando Edward Snowden ha aperto il vaso di Pandora della NSA. Quattro vere e proprie lezioni. Innanzitutto che non si è mai troppo prudenti con le misure di sicurezza. Non si può più supporre che nessuno controlli quello che facciamo, e per chi lavora nei media, specie se si occupa di giornalismo investigativo, utilizzare programmi come PGP, che permettono di crittografare i dati personali, non deve essere un optional.

In secondo luogo è diventato chiaro che la censura esiste anche negli USA e nel Regno Unito. L’opposizione diretta, e quella attraverso altre fonti di informazione, che The Guardian ha subito dopo il caso Snowden ne sono la prova. Un modo per combatterla, che potrà sembrare strano considerando la competitività tra giornalisti, è condividere le informazioni con altri media. Nel caso di The Guardian i partner sono stati The New York Times e ProPublica. Il fatto che diverse testate si occupassero dello stesso caso ha dato più forza a ognuna di esse nel combattere le intimidazioni ricevute.

Il ruolo di giornalisti poco tradizionali come Glenn Greenwald e Laura Poitras (che oggi si sono uniti a loro volta a First Look Media), e di attivisti e organizzazioni come WikiLeaks si è rivelato fondamentale per portare avanti battaglie di pubblica utilità. Allo stesso tempo però, l’esperienza del whistleblower della NSA e di Greenwald ha dimostrato che il ruolo dei media tradizionale è ancora importante. Infatti, solo una grande infrastruttura mediale ha potuto prendersi carico di una questione importante come quella della sorveglianza segreta di ogni persona connessa a internet a opera di un’agenzia governativa statunitense. Solo un’organizzazione come The Guardian poteva sobbarcarsi i rischi collegati a un caso del genere.

Sulle nuove forme giornalistiche è intervenuto Andy Carvin, che nel 2011 è stato definito “the man who tweets revolutions” per via del suo ruolo nella diffusione delle informazioni sulla primavera araba via Twitter. La curiosità principale era circa il suo ruolo a First Look Media, e subito Carvin ha rivelato di non avere nemmeno un ufficio, o meglio di averne uno (a Washington DC) che però è privo di mobili. In questo First Look sembra una startup come tante altre. Il lavoro di Carvin ha che vedere con la sfera dei social media. Infatti nella sua esperienza settennale alla National Public Radio (NPR) americana, ha sperimentato con Facebook e Twitter per avvicinare il pubblico ai giornalisti, creando uno scambio positivo. Se ha deciso di passare a First Look, è perché ha visto questo nuovo organo di informazione come slegato da ogni tipo di distribuzione, e consapevole fin dalla sua fondazione del peso dei social media e dell’importanza della sicurezza — tanto che nel corso del suo primo giorno Carvin ha dovuto ripassare le sue nozioni di PGP.

Frediani ha interrogato Dan Gillmor a proposito di ciò che i cittadini possono fare per contrastare il controllo governativo e delle corporation sulla comunicazione. Gillmor pensa che si stia perdendo il controllo delle nostre informazioni, anche perché PGP è sempre più complesso, dunque più difficile da usare. Purtroppo i nostri communication device possono diventare veri e propri spying device. Tuttavia il miglior risultato conseguito dal caso Snowden è stato di renderci più consapevoli di tutto ciò, attraverso il lavoro di tanti giornalisti che hanno seguito la sua storia molto a lungo.

Jillian York ha voluto sottolineare come sia importante che i cittadini di tutto il mondo prendano a cuore il problema della sorveglianza, pensando a come proteggersi in modo concreto. Secondo York i maggiori effetti dovuti alle rivelazioni di Snowden sono l’autocensura e la paura legata ai legami che abbiamo con altre persone online. Frediani ha voluto che spiegasse perché è così importante che le persone comuni si preoccupino della sicurezza dei loro dati, e York ha parlato della frustrazione che prova quando qualcuno argomenta “guardino pure, tanto io non ho niente da nascondere”. Non possiamo dimenticare il valore dei nostri diritti fondamentali, che siano naturali o digitali. Un’altra reazione fastidiosa è quella di chi pensa che proteggersi sia troppo complicato: per York un’argomentazione come questa può competere con quella di chi si astiene dall’avere rapporti sessuali per timore dell’aids.

York vorrebbe che ci fosse un maggior livello di informazione sui mezzi come PGP, e che questi fossero più immediati nell’interfaccia. Ha inoltre ribadito come sia importante che il maggior numero di persone inizi a difendere la sua privacy, di modo da non far apparire come mosche bianche chi ha ragioni particolari per farlo. E anche se dovrebbero essere atti legislativi adeguati a proteggerci, non possiamo aspettare. Perché non si tratta solo di cambiare le leggi, ma anche la cultura delle persone. La loro considerazione dei diritti digitali.

Una domanda dal pubblico ha posto l’attenzione sui diversi gradi di dibattito pubblico che hanno avuto luogo negli USA e in Europa a seguito dello scandalo della NSA. In Italia non se ne è parlato di certo a sufficienza. Secondo James Ball la reazione britannica è stata molto meno forte rispetto a quella degli Stati Uniti. Questo probabilmente a causa del boicottaggio che The Guardian ha subito da parte degli altri media. Invece negli USA il dibattito ha avuto largo spazio, anche se ora l’attenzione sta scemando — con i progetti di legge per modificare la NSA in stallo. In alcuni altri paesi, come l’India, il coinvolgimento dell’opinione pubblica ha raggiunto livelli molto alti.

Jillian York ha precisato che negli Stati Uniti la gente si è indignata per il fatto che la NSA controllasse i loro dati, mentre si è dimostrata piuttosto indifferente al fatto che anche cittadini di altre nazioni fossero spiati. Dan Gillmor ha aggiunto che dato che ogni paese si riserva di fare da Grande Fratello verso i propri cittadini — per quanto ci sia chi lo fa di più e chi meno — e  che per questo, dappertutto nel mondo, i giornalisti devono iniziare a vedere gli stati come nemici da questo punto di vista, se vogliono fare bene il loro lavoro.

Fino a qualche tempo fa una direttiva dell’Unione Europea rendeva legale ciò che la NSA ha fatto. In Italia stiamo ancora aspettando una risposta dal nostro governo in merito alla sorveglianza attraverso i mezzi digitali. Quindi forse abbiamo bisogno che l’effetto Snowden si faccia sentire un po’ di più anche qui da noi.

Ludovica Lugli