Invano. Il potere in Italia da De Gasperi a questi qua è il nuovo e dettagliatissimo libro di Filippo Ceccarelli, giornalista parlamentare da più di quarant’anni. Durante il Festival Internazionale del Giornalismo, Ceccarelli ha presentato la sua opera alla Sala dei Notari, insieme a Lucia Annunziata, direttrice dell’Huffpost, e Alessandra Sardoni, giornalista di La7.
La politica raccontata dal Colore
Alessandra Sardoni illustra subito i pregi del “librone” di Ceccarelli: “è un libro fatto di dettagli, raccolti pazientemente. La fama di Filippo Ceccarelli anche come archivista, osservatore, raccoglitore di cose che possono sembrare insignificanti”. Una fama che ha sin dagli inizi della sua carriera, ricorda Annunziata. “Nel nostro mestiere è un mito. Ha fatto delle cose molto innovative in un posto editorialmente molto affollato. Perché il mondo della nota politica è sempre stato pieno pieno pieno della crème del giornalismo”. L’innovazione del lavoro di Ceccarelli, continua Annunziata, sta nell’aver dato peso a dettagli che prima venivano ignorati, cioè “il colore: come si mangiava, dove si andava a mangiare, come ci si vestiva, gli intrighi, le famiglie”, che prima non venivano citate mai. “Pensate che scoprimmo quanti erano i figli di Moro quando Moro è morto”
Invano. racconta in modo approfondito questi dettagli. infatti, egli lo definisce “l’opera della vita mia”. Nel libro, raccoglie tutto quello che ha raccolto nella sua lunga carriera da giornalista parlamentare: “C’avevo 18 armadi, tenuti al giornale però. In casa non sarebbero mai entrati”. Il libro è un grande excursus storico, tramite l’analisi ed il racconto dei dettagli laterali della vita dei politici dalla Prima Repubblica fino ai giorni nostri, Ceccarelli ripercorre la storia della classe politica, e del suo decadimento. Si tratta anche di un recupero della memoria collettiva, in un’epoca in cui, dice Ceccarelli, “la memoria è finita. La memoria è un optional. Il passato è una cosa ingombrante, fastidiosa”. Una mancanza che paghiamo pesantemente, dimenticandoci le sofferenze che abbiamo già patito, gli errori che abbiamo già stupidamente commesso. “La mancanza di memoria, e questo non mi stancherò mai di dirlo, è la mancanza di memoria dei traumi, dei guai, delle magagne, degli impicci che succedono. Per cui ‘costruiamo una bella casetta sulla cresta del vesuvio!’, ‘andiamo a mettere un asilo nido vicino al fiume!’ “.
Il libro è il frutto di quello che ha fatto nella sua carriera, insieme a 5 anni di lavoro dedicato. 5 anni che lo ha portato a fare salti strani, dai libri di storia alle pagine di Chi. O a sedute in montagna dedicate alla visione di video della Lega: “3 giorni li ho passati in montagna da solo, io e il cane, a vedere tutti i video su Youtube della Lega. Andavo a letto e mi sognavo la Lega, naturalmente!”. E gli eventi realmente accaduti non lo aiutavano a distinguere tra la realtà e il sogno: “Sono successe delle cose che se uno le ricorda sembrano dei sogni. Calderoli col giubbotto con il chiodo che brucia le leggi dentro le capannelle dei vigili del fuoco per far vedere che lui ha semplificato, è una scena che è successa realmente, è una follia. Come la laurea del Trota, sono tutte cose stranissime”. La politica è sfuggita di mano, dice Ceccarelli, e “io pure stavo sfuggendo di mano a me stesso”, a ripercorrere queste follie.
Questi qua non pensano alla morte
Ceccarelli ha tenuto il punto con una serie di battute divertenti, raccontando quella che chiama la “rotolata giù per la china”. Il clima dell’incontro è stato fin da subito molto allegro e spigliato. La cosa paradossale è che, alla fine, il fulcro del suo discorso è il rapporto tra la politica e la morte. “Penso veramente che la morte sia l’elemento attraverso cui si può interpretare le culture politiche di questo paese. L’assenza di questa cosa terribile fa si che oggi tutto assomigli ad un circo equestre”.
Non è sempre stato così. Le grandi ideologie politiche italiane erano forti perchè avevano un proprio senso della morte, andavano oltre al loro piano terreno. Comunismo, Cattolicesimo e Fascismo, “Sostanzialmente erano proiettate addirittura nell’aldilà”. I cristiani avevano l’idea che “il potere era in prestito da Dio. Non era un gioco”, e bisognava render conto proprio a Dio di come lo si era usato sulla Terra. Per il Fascismo, – e anche i neofascisti, come sottolinea Ceccarelli e come fatto notare anche da Berizzi, Bianchi e Cammelli in un altro panel – l’ideale era quello di morire per la patria, basandosi sull’esempio dei caduti, “erano metro di misura, come i garanti ideali. Esercitavano un potere sui vivi enorme”, a partire dall’aspetto delle sezioni dei fascisti, fatti di lumini, bare e richiami ai caduti. Per i Comunisti era invece un po’ diverso: il materialismo non implica una dimensione ultraterrena. Il pensiero unificatore era quello del possibile arrivo del sistema comunista.”Il Comunismo stava scritto nella storia. Sarebbe arrivato, come il giorno segue la notte. Si trattava solo di dare una spinta tutti insieme, come una grande ruota: più siamo a tirare avanti questa ruota e più si accelera”. Due morti metteranno, però, in crisi le ideologie di Pci: quelle di Aldo Moro ed Enrico Berlinguer.
Il cambio di paradigma arriva con il Psi di Bettino Craxi. “Arriviamo negli anni ’80. ‘Scusa Bettino, ma dopo che c’è?’ E Bettino Craxi avrebbe risposto ‘Boh. Che ne so che c’è dopo. Non è un problema all’ordine del giorno quello che c’è dopo. Primum Vivere, disse peraltro”. La vitalità “famelica” del Psi è l’inizio del vivere alla giornata, del non pensare più alla morte, l’inizio della scomparsa della memoria.
Perché “questi qua”
La tragicommedia politica italiana va spiegata nella sue caratteristiche letterarie. “Tutto è cambiato, ma tutto è rimasto uguale. L’effetto grottesco lo riusciamo a capire perché l’Italia ha due generi letterari-artistici che convivono con lo svolgimento della vita pubblica: da un lato la commedia, per cui nulla qui in Italia rimane serio per più di due giorni; e l’altro è il melodramma, per cui lacrime, sghignazzi, cattivi e cattivissimi, complotti ecc”. Tutto ciò rende la scena pubblica odierna “oscena, nel senso che la Prima Repubblica aveva una scena ufficiale con i suoi retroscena, la Seconda Repubblica, sostanzialmente berlusconiana, aveva la messa in scena, mentre oggi è una scena oscena”, non solo nel senso di mancanza del pudore e di ritegno ma anche in quello che ha portato, cioè la “confusione, la compenetrazione, la coincidenza di generi che nella nostra storia erano separati, e che si sono uniti fino a fare un botto”.
Con ciò, non bisogna scambiare Ceccarelli per un nostalgico della Prima Repubblica. “Io so solo che quando c’era Andreotti, che era comunque in prestito dalla Santa Romana Chiesa perché ce l’avevano dato loro, lo mandavi all’estero e non ti dovevi vergognà. Questo sicuramente”. E ora? “E ‘mo c’è ‘sto Conte, e nessuno sapeva chi fosse prima delle elezioni. Mia madre, di 85 anni, l’ha visto e ha detto ‘Mah… Boh… Mi sembra un commesso di Cenci”. Forse ha un po’ di nostalgia, ammette più avanti. Ma cos’hanno di brutto questi qua? L’autoreferenzialità e la vanità, termini che ripete più volte, sono politici vanitosi, che puntano ad attirare l’attenzione facile, vogliono l’assenso e non il consenso, che “si consumano, e consumano attenzione”.
Chiudiamo sul titolo, con quell’allusione fastidiosa a “questi qua”. Non così tanto, crede Ceccarelli, se si pensa che “il primo partito in Italia è andato avanti con il vaffanculo, ‘questi qua’ è una cosetta!”, anche se, però, aveva in mente un altro titolo, “Da De Gasperi a Dudù. Io ero andato in fissa con il cane di Berlusconi!”. E non per una mania personale, ma perché ha avuto molti ruoli. “Ci sono le fotografie di lui che gli tira la palletta insieme a Putin, non è che era un cane come tutti gli altri. Santoro lo usò come testimonial, ci fu un finto Dudù da Vespa. Berlusconi disse ‘ per trovare qualcuno che non mi ha tradito ho dovuto comprare un cane!'”. Insomma, uno spaccato di “commedia animale”. Poi, però, arriva la nuova classe politica, questi qua. E per questo, d’accordo con gli editori, cambia il titolo di questo libro. “Un mattone, quasi mille pagine. Da usare utilmente come ferma porte nelle giornate di vento”. Ma non credetegli su questo.