Il reportage secondo Alfredo Macchi

“Quando smetto di lavorare mi faccio travolgere dalle emozioni, ma mentre giro il mondo cerco di evitare che le stesse persone che raccontano tendano ad eccedere. L’immagine troppo cruenta va certamente mitigata. Se una tragedia è troppo forte la gente si allontana, se la racconti male crei dei danni sia a chi la sta vivendo e condividendo con gli altri, sia a chi la ascolta”.

Fare un reportage è come un’operazione chirurgica. Bisogna mantenere l’equilibrio, molte volte in bilico sulla tragedia. “Basta un nulla per oltrepassare quel limite. Il primo pensiero quando racconto è se sono riuscito a raccontare nel migliore dei modi quella particolare vicenda”. Se fare il giornalista è per molti ancora il lavoro più bello del mondo, girare il mondo per mettere insieme un reportage è uno degli aspetti del mestiere che può affascinare di più. “Ci sono cose però che si possono e si devono imparare, e sono quelle relative alle tecniche. La capacità di girare e montare i video, le regole del linguaggio televisivo, non sono cose che si improvvisano. Poi, dalla grammatica, esce il giornalista. Ognuno vede il mondo coi propri occhi ed è innato in ciascuno di noi il modo in cui si decide di raccontare qualcosa, perché lo si è visto andando sul posto”.

Lavorare sul campo è il dogma assoluto che Alfredo Macchi ha voluto trasmettere durante il suo workshop,  inserito nel calendario del Festival Internazionale del Giornalismo. A margine dell’incontro ha avuto un bel momento di condivisione coi colleghi, attuali e futuri. “Venendo qui a Perugia, rivedo me stesso agli inizi — commenta — e da quando ho iniziato il mestiere a oggi, che posso dire di avercela fatta, voglio continuare a trasmettere lo stesso entusiasmo e la voglia di fare questo lavoro”.

Con la sua esperienza, maturata come giornalista televisivo per le reti Mediaset sin dagli esordi, ha provato a delineare una ricetta anticrisi per i ragazzi che vogliono intraprendere questa carriera. “Il prodotto di qualità sarà la chiave di volta — prosegue il cronista —. La qualità soddisfa, infatti, la richiesta di target precisi di persone, che oggi formano il mercato di utenti per l’editoria. Si tratta di persone che vanno alla ricerca di notizie particolari e molto circostanziali, argomenti sui quali vogliono informazioni verificate e che non possono trovare altrimenti”.

Avere un diverso modo di raccontare da cronista a cronista ha determinato il fatto che “ormai si emerge solo su innovazione e creatività”. In Europa, dopo tutto, non c’è un modello diverso per ogni Paese. “Ci sono testate che mantengono un modo più ufficiale, quasi istituzionale, di raccontare le notizie — precisa Macchi —, ma la forma della narrazione audiovideo è sempre la stessa. Coinvolge di più delle altre e può essere arricchita da tanti elementi, bisogna saperla innovare”.

Trovare un equilibrio non è sempre facile, c’è un filtro tra quel che accade e il giornalista. Ma c’è un modo per mettersi in discussione e crescere continuamente a livello professionale. “Quando ho l’opportunità di tenere un workshop come qui a Perugia, guardo il pubblico e mi accorgo se il mio intervento ha lasciato qualcosa in chi mi ascolta. Se la maggior parte è attaccata al tablet o allo smartphone, certamente ho sbagliato qualcosa” – conclude, scherzando, Alfredo Macchi.

Caterina Cossu

@caterinacossu

Alfredo Macchi. Foto: Roberto Baglivo.
Alfredo Macchi. Foto: Roberto Baglivo.