Khartoon!: la “matita delle rivoluzioni” all’International Journalism Festival

“Come hai iniziato a disegnare e come hai fatto a diventare la matita delle rivoluzioni?” è la prima domanda che Francesca Caferri, giornalista di Repubblica e vincitrice di numerosi premi tra cui il Sain-Vincent e il Mediterranean Journalism Award, rivolge a Khalid Albaih all’incontro all’hotel Brufani del secondo giorno del Festival. Sudanese esiliato che vive a Doha, Khalid Albaih è considerato uno degli artisti della rivoluzione araba: le sue vignette satiriche sui regimi arabi, diffuse attraverso i social media – in particolare tramite la pagina facebook Khartoon! –  sono diventate virali fino a essere riprodotte sui muri dai giovani che hanno dato vita alla Primavera Araba.

Khalid spiega che fin da ragazzo gli fu chiaro che le vignette erano il modo migliore per unire due passioni: l’arte e la politica. Il primo un amore, il secondo un dovere. E anche la pagina Facebook in cui Khalid pubblica i propri disegni rappresenta, in un gioco di parole, l’unione di questi due mondi: Khartoon! è l’unione di Khartoum (capitale del Sudan, da cui Khalid è esiliato) e cartoon (in italiano, vignetta). La scelta di aprire una pagina Facebook è stata dettata dalla difficoltà a diffondere i primi lavori, apprezzati dai giovani dell’ambiente universitario e incompresi dai dirigenti, quelli che Khalid definisce “le vecchie generazioni”. Dopo il rifiuto di pubblicare le vignette da parte di numerose testate, l’autore ha deciso di “rivolgersi alla rete”, trovando in essa un luogo in cui le vecchie generazioni non potevano esercitare forme di controllo.

“Non avevamo altro luogo in cui andare”, dice il vignettista aggiungendo, quando la giornalista gli chiede cosa possa aver rappresentato Internet nella Primavera Araba, che il web è stata l’unica alternativa possibile per alimentare un dibattito libero intorno alla politica. I suoi disegni infatti sono diventati gli stencil poi riprodotti sui muri delle città in rivolta, rappresentando l’esplosione di qualcosa che si voleva dire da tempo e di cui internet ha permesso di parlare. “Eravamo talmente oppressi che volevamo scrivere le nostre sensazioni e le nostre idee sui muri. […] Questo ha dato il coraggio a tante persone di uscire di casa e fare qualcosa”. E adesso che la primavera araba sembra essere passata a un mite e incerto autunno e le persone sono ancora più spaventate della repressione rispetto al passato: “Internet continua ad essere l’unico luogo che c’è rimasto”.

Khalid Albaih è l’autore della famosa immagine del volto di Hosni Mubarak affiancato dalla parola Misr, che in arabo vuol dire Egitto ma, se si considera che il diacritico possa cambiare la parola da Misr a Musir, anche persistente, tenace. Ricordando come quest’ultima sia diventata uno dei simboli della rivoluzione in Egitto, Francesca Caferri chiede all’artista sudanese quanto, a suo modo di vedere, una vignetta possa rivelarsi rivoluzionaria e quale impatto crede possano avere le sue. La risposta lascia sorpreso il pubblico: “Io non faccio altro che disegnare. La gente muore per strada… Io…” esita, si ferma. Un applauso accoglie la sua umiltà. “Ma funziona, le tue vignette sono conosciute in tutto il mondo!” replica la giornalista.

La discussione poi si sposta sulla scivolosa questione delle vignette di Charlie Hebdo, di quali e quanti limiti possa avere la satira. Khalid su questo punto è molto chiaro: quanto accaduto è assolutamente ingiustificabile e vergognoso, tuttavia secondo il suo giudizio la satira deve avere dei limiti, che più che essere rigidamente etici (“Con le vignette bisogna sempre provare ad oltrepassare il confine”) sono legati allo scopo per cui la satira fumettistica nasce: colmare un divario. Se la vignetta fa solo ridere e non comunica davvero un messaggio differente, finisce per rivelarsi sterile. I disegni non devono essere solo irriverenti, devono voler dire qualcosa, devono essere messaggio ermetico e potente. Altrimenti “il divario non si colma”.  È un’espressione che Khalid ripete continuamente, come un mantra. L’idea di colmare un gap di informazione, una distanza culturale, che con episodi come quelli di Charlie Hebdo diventa siderale. Fu proprio in occasione di quella strage che Khalid disegnò la famosissima vignetta che rappresenta un uomo diviso tra due mondi che risponde “sono solo un musulmano” mentre viene additato come infedele dai fondamentalisti e fondamentalista dagli occidentali. Quella vignetta, come spiega l’autore, nasce dal bisogno di dissociare il mondo musulmano dalla strage e dalla paura che le famiglie arabe parigine entrassero nel mirino di manifestazioni di xenofobia e intolleranza.

Disegnare però colma anche un gap di informazione: per l’artista, è un mezzo per far conoscere all’Occidente il vero mondo arabo, che al contrario conosce tantissimo della nostra storia, delle nostre lingue, della nostra cultura. “Questa situazione è triste […] Io scrivo in inglese proprio per colmare questo divario”. Un divario, delle distanze, più che geografiche, che sono ancora più evidenti a proposito dell’arruolamento di tanti giovani nell’Isis, dovuto secondo Khalid anche alla mancanza di riferimenti positivi, all’innalzamento del guadagno a unico vero valore da raggiungere. “Noi musulmani cresciamo senza eroi, nessuno ci dice un giorno diventerai presidente’. Se tuo padre ti insegna qualcosa del genere potrebbe finire in galera, noi non cresciamo con modelli del genere”. È in ragione della promessa di profitto immediato che molti giovani passano dalla parte dei guerriglieri dello Stato Islamico.

E dal canto suo purtroppo gran parte dell’Occidente, che si considera una realtà più istruita e consapevole delle altre, si presta per prima a facili semplificazioni che alimentano stereotipi e cementificano differenze, “mentre invece – dice l’artista – siamo tutti uguali”.

Francesca Caferri poi si riferisce alle torture subite da alcuni vignettisti, come Ali Ferzat, rapito in Siria e al quale furono spezzate le dita così che non potesse più disegnare. “Sicuramente essere un vignettista nel mondo arabo non è facile, né tanto meno sicuro. Tu la senti questa pressione?”. La risposta è semplice: “Lo devo fare. È sicuro farlo? No, non credo. Ma è il minimo che io possa fare. Ci sono persone che muoiono per strada […] semplicemente per un cambiamento.”

È per contribuire il più possibile a questo cambiamento che usa i social media, affidandosi della loro immediatezza; l’immediatezza deve ispirare l’intero lavoro di satira: dalla scelta dei soggetti, al nucleo del messaggio fino alla diffusione, appunto, dello stesso. Alla satira dedica tutta la sua cura perché rappresenta il suo modo per non far morire il dibattito nato nella primavera araba, per far continuare a parlare i giovani. Proprio a proposito di questi e della primavera araba, la giornalista chiede a Khalid che tipo di speranze coltivi a riguardo.

“La primavera araba è speranza, continua a essere una speranza. Anche in Europa avete avuto bisogno di novant’anni prima che la rivoluzione francese diventasse punto di partenza per la democrazia […] Io continuo a nutrire speranza. Ci vuole tempo”.