La Costituzione ai giorni nostri: una lezione di Gianfranco Pasquino

“L’informazione è la linfa della democrazia”: quanti credevano che la lezione di Gianfranco Pasquino sarebbe stata solo sulla Costituzione italiana si sbagliavano. Il professore emerito presso l’Università di Bologna, durante la seconda giornata del Festival Internazionale del Giornalismo, si è confrontato con Dino Amenduini, moderatore dell’incontro nonché socio, comunicatore politico e pianificatore strategico dell’agenzia di comunicazione Proforma. Le parole della democrazia, le parole della Costituzione ha dato la possibilità ai numerosi accorsi in Sala Brugnoli, all’interno di Palazzo Cesaroni a Perugia, di essere guidati in un viaggio di riflessione e approfondimento sul documento fondamentale italiano, toccando discipline ed idee diverse.

Attuale, attuata o semplicemente superata?

“La Costituzione viene studiata sotto forma di articoli,. Mentre la costituzione non è un documento giuridico, è un documento storico politico. È politico perché riguarda la comunità, l’idea di sistema politico che i costituenti avevano nel 1946-1948. È un documento storico perché riflette le esperienze storiche di quelle persone, quello che avevano subito, sofferto, quello che avevano fatto, quello che non erano riusciti a fare e quello che avrebbero voluto che l’Italia facesse. Devono tradurre questo in norme giuridiche, ma senza conoscere la politica e la storia il documento non può essere spiegato in nessun modo”. È così che Gianfranco Pasquino ha risposto alla domanda su quanto oggi la Costituzione sia attuale e attuata soprattutto dalla classe politica. La lunga esperienza e le consapevolezze acquisite negli anni di studio gli hanno consentito di definirla “antica, vecchia no, ma attuale. Nel senso che i costituenti non volevano scrivere per quel momento lì, ma per un lasso di tempo che non potevano prevedere”.

Prendendo a esempio le parole del costituzionalista Pietro Calamandrei secondo cui “la Costituzione è presbite, guarda lontano”, è stato esplicito fin da subito un orientamento aperto sempre al futuro e alle sue innumerevoli sfide. Diverso è invece il discorso per capire se è attuata: “Credo che una Costituzione non debba mai essere attuata, ma deve essere rispettata, valutata nelle sue componenti, tenuta di gran conto quando si prendono decisioni importanti. Attuare non è il verbo giusto in questo caso: è un Paese che si attua se segue la Costituzione, se l’accompagna, se i suoi comportamenti sono adeguati alle sfide che ciascun Paese incontra nella sua storia”.

Nel cuore della Costituzione: gli articoli 1 e 3

Falsi miti sono presenti già a partire dal primo articolo: in primis, sull’idea che i Costituenti fossero d’accordo su tutto: la loro abilità è stata nel trovare l’accordo partendo da visioni diverse. Per esempio, “che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro non era semplice da far capire a tutti perché i comunisti volevano che fosse fondata sui lavoratori e, naturalmente, i democristiani dissero che non poteva essere così, ‘perché voi avete in mente i lavoratori industriali’ “. Il motivo è semplice: solo una parte si sarebbe sentita rappresentata dal documento fondamentale, ma non la società nella sua totalità. Per quanto riguarda la parola popolo a cui appartiene la sovranità, il termine è legittimato ad apparire nel testo, secondo Pasquino, in nome della democrazia che altrimente cesserebbe di esistere. Al terzo articolo della Costituzione invece, “applico l’aggettivo esigente: chiede molto, ma dice anche molto”. Per il politico, “questo è un articolo che reagisce nei confronti del passato, apre la strada a una concezione dell’uguaglianza che noi oggi riteniamo fondamentale”.

L’articolo 21: qual è la situazione del giornalismo oggi?

“Dio è morto, Marx è morto e neanche i giornalisti stanno tanto bene.” Nelle parole di Gianfranco Pasquino prevale lo scetticismo e la triste constatazione è una sola: “Lo stato di salute del giornalismo italiano non è buono, perché ci sono delle situazioni di privilegio e altre di straordinario sfruttamento. Non ci sono criteri con i quali valutare quando un giornalista fa effettivamente il suo lavoro di informazione, di investigazione e qualche volta di formazione dell’opinione pubblica”. Non manca una critica nei confronti degli stessi giornalisti, coloro che hanno il compito quotidiano di veicolare l’informazione: “Non c’è una sufficiente capacità dei giornalisti di imparare da quello che succede: mi sono spesso chiesto perché i giornalisti non abbiano gli ombudsman, cioè qualcuno che controlla quello che scrivono, la veridicità, le fonti dalle quali le informazioni sono state tratte”.