La parola ai nativi digitali: “Media-making millennials #werunthis”

millennials #werunthis
foto via @TeclaInterAct

Che cosa accomuna le cinque ragazze sedute al tavolo del Centro Servizi G.Alessi di Perugia? A parte la giovanissima età e un curriculum vitae invidiabile, sicuramente il fatto di essere native digitali. Il workshop, tenutosi domenica 19 aprile, “Media-making Millennials #werunthis” ha infatti dato spazio alle nuove giovani voci dell’informazione, i millennials.

Il “Time” affibbierebbe loro il non troppo glorioso epiteto “The me me me generation” (che dà il titolo all’articolo di Joel Stein) e li dipinge come una generazione egocentrica e narcisista. È vero che trascorrono diciotto ore della giornata a contatto con i social, ma i millennials, nati tra gli anni novanta e i primi anni duemila, non sono soltanto il popolo dei selfie, della spasmodica ricerca di apparire. Dalla costante interazione con le piattaforme sociali, scaturisce infatti una quantità illimitata di informazioni, il cosiddetto UGC (user-generated content). Questa fonte, come ci spiega Giorgia Popermhem, studentessa, food-blogger e insegnante di inglese, viene apprezzata dalla maggior parte dei giovani molto più che le informazioni generate dai mezzi tradizionali. I social media possono rivelarsi uno strumento fondamentale per i giornalisti per contestualizzare le proprie fonti e condividere le proprie idee, al di là della testata per cui scrivono.

Sul rapporto tra giornalisti e Twitter, ha basato la sua tesi di laurea Carolina Are, laureata in Giornalismo presso la City University di Londra. Ha analizzato i tweets lanciati dai giornalisti inglesi più seguiti in occasione della morte dell’ex Primo Ministro inglese Margaret Thatcher. I risultati ottenuti da quest’analisi, effettuata su 500 tweets, mostravano due blocchi ben distinti tra chi si schierava a favore e chi contro quella che era stata una figura politica così controversa. È emerso quindi il profondo cambiamento nel modo di comunicare dei giornalisti, i quali utilizzano i social per esprimere una propria opinione personale e non soltanto come strumento professionale. I social media spesso trascendono la sfera digitale e hanno un impatto diretto su quella reale. È ciò che è accaduto a Carolina, che grazie al suo profilo LinkedIn, sempre aggiornatissimo, è stata scoperta da un’azienda di risorse umane e ora lavora a tempo pieno per il Manifest London, ricoprendo la posizione di account executive. L’utilizzo attivo e costante dei social, in questo caso LinkedIn e Twitter, si è rivelato un elemento fondamentale per aiutarla ad emergere.

Un altro popolarissimo social network è Instagram e Chiara Peccini, studentessa di filosofia in Danimarca, ha spiegato perché questa piattaforma viene spesso preferita rispetto ad altri media. La risposta è semplice: prevalentemente per questioni di tempo, gli utenti vogliono trovare le informazioni che cercano hic et nunc, senza perdersi in un tunnel infinito di notizie. Gli hashtags traducono alla perfezione questo bisogno perché, attraverso una semplice parola chiave, raggruppano un’area specifica di contenuti. Instagram si rivela inoltre un ottimo strumento di promozione. Si pensi all’hashtag #dafareinsardegna, lanciato recentemente da una community di instagramers: pubblicando foto di località del territorio sardo è stato possibile dare visibilità all’Isola e renderla una destinazione turistica popolare. Grazie a questa forma di storytelling, in cui ognuno poteva contribuire, è stato possibile arrivare facilmente alle persone. In un social basato sull’UGC infatti, utenti e pubblico spesso coincidono e le stesse persone vengono coinvolte sia nel processo di produzione che nell’utilizzo delle informazioni.

Francesca Prandelli, studentessa di Scienze della Comunicazione all’Università di Bologna, ha in seguito illustrato le caratteristiche di un’altra celebre galleria online, Pinterest. Il nome stesso del social (formato dalle parole inglesi pin, “attaccare” e interest, “interesse”) ne suggerisce subito la filosofia. La particolarità di Pinterest sta nel suo obbiettivo primario di stimolare la curiosità delle persone, di fornire ”ispirazione attraverso le immagini”. Si tratta di un sito costruttivo, non soltanto di intrattenimento. I millennials più popolari, infatti, ripongono il loro successo nel contatto diretto e creativo con gli utenti, che non si limitano ad un uso passivo del sito, ma mirano a trarne un beneficio attivo, per esempio per imparare qualcosa di nuovo. Anche questa  piattaforma è senza dubbio un ottimo modo per i giornalisti di promuovere il proprio lavoro. Ma non solo: le immagini costituiscono uno strumento visuale molto potente per comunicare, in quanto evocano immediatamente delle emozioni. Si presenta quindi un nuovo modo per i giornalisti di attirare i lettori, di coinvolgere un’audience che si imbatte per caso nelle immagini, che da queste viene attirata e grazie a queste può arrivare a contenuti più ampi.

Proprio sull’interazione tra giornalismo e social media si è soffermata Costanza Maio, attivista, documentarista indipendente e laureanda in Global Liberal Studies presso la New York University. Per supportare l’idea che siano i millennials a condurre questa collaborazione, cita l’esempio del documentario web “Syrie. Journaux intimes de la revolution”. Quattro rifugiati siriani raccontano, attraverso video messaggi, la loro vita quotidiana e le loro sensazioni in una situazione di estrema difficoltà come quella che attanaglia il loro Paese. I video vengono caricati online in episodi, secondo una sequenza temporale, e questo fa sì che l’utente possa seguire la crisi in tempo reale, possa veder svilupparsi la consecutio degli eventi. In questo progetto creativo, che è soltanto uno dei mille ormai presenti sul Web, i protagonisti che vivono direttamente sulla propria pelle la crisi siriana fungono da tramite con il pubblico. Allo stesso tempo però, la loro stessa esistenza dipende dalla partecipazione dell’audience. Costanza, durante il suo stage ad Abu Dhabi per il giornale indipendente “The Gazelle”, ha utilizzato YouTube per connettere, con il progetto “TGTV – new voices, real talk, studenti di tutto il mondo e con loro intavolare discussioni su temi di attualità. Per dare un’idea di quanto l’interattività possa essere totalmente coinvolgente, ha fornito l’esempio delal sua tesi di laurea in cui si propone di analizzare le esperienze di due youtubers musulmane, residenti negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Il suo obbiettivo è quello di sperimentare e capire, attraverso una prospettiva diretta, quali sono i problemi politici e culturali di una minoranza di Youtube.

Si è rivolta infine al pubblico con un consiglio: “Credo fermamente che i mezzi interattivi siano il futuro del giornalismo e che i millennials stiano a capo di questa evoluzione. Siamo cresciuti nell’era della partecipazione attiva sul web e siamo qualificati per questo lavoro. Perciò, invito tutti voi a provare gli interactive media, a crearne di vostri: non è difficile, abbiamo tutti le capacità per farlo”. Perciò millennials, smartphone alla mano, è il nostro momento. We run this.