La risposta dei giovani: sdraiati a chi?

Sdraiato ci sono stato, e ci sto parecchio. Non me ne faccio neanche una colpa perché tutto sommato ho sempre raccolto il giusto, pochissimo, del mio impegno e mio padre andava ai colloqui coi professori sottolineando che avrebbero dovuto bocciarmi nonostante fossi uno studente scarsamente nella media. Proprio come faceva il padre di Giorgio Amendola, nell’episodio citato da Serra ne Gli sdraiati.

Quando assisto all’ incontro presentato da Federico Taddia non ho più diciotto anni da quasi dieci anni e rientro appena nella generazione di giovani che è oggetto di discussione qui, nella Sala dei Notari. Parlano dei nati dopo la seconda metà degli anni ’80. Per questo non mi sento né salvo dagli appunti di Michele Serra, né del tutto incluso nelle considerazioni dell’incontro. Ma la discussione è una scusa con duplice intento: innanzitutto sopperire a quel confronto generazionale che lo scrittore cita nostalgicamente come irrealizzabile, in secondo luogo argomentare le effettive qualità, esistenti eppure mai computate, degli adolescenti.

Foto: Danila D'Amico
Foto: Danila D’Amico

Come e perché i media rappresentano i giovani? E come invece si presenterebbero loro, se avessero davvero la possibilità di esprimere il proprio punto di vista? Il tema è chiaro e necessario, visto che come precisa Francesca Ulivi, responsabile di Mtv News, i mezzi di comunicazione sono troppo intenti a mostrare i fenomeni (quasi sempre negativi) che interessano gli adolescenti, piuttosto che raccontare delle storie che li rappresentino sul serio. Per questa ragione ha dato vita a Meglio flessibili che disoccupati, un mosaico di storie di giovani lavoratori dove ogni tessera (e sono più di 600) è raccontata dal protagonista stesso, dopo essere stata scelta fra le migliaia presenti sul territorio nazionale.

Anche Lirio Abbate, giornalista de L’espresso, conviene che la forza di questo programma sia il punto di vista interno, che nei giornali non è replicabile perché per potersi occupare di un episodio occorre che il protagonista sia quantomeno conosciuto.

Nicola, rappresentante d’istituto del liceo scientifico Galileo Galilei di Perugia, sottolinea come l’informazione entri nelle scuole motivata solo dallo spirito di inchiesta, senza mettersi allo stesso livello dei ragazzi e soprattutto priva di un reale interesse nei confronti degli aspetti sociali, creativi e quindi positivi, che sicuramente esistono all’ interno degli istituti.

Le statistiche sul livello di istruzione, consapevolezza e determinazione degli adolescenti sono presentate invece da Lella Mazzoli, Professore ordinario di Sociologia della Comunicazione dell’Università di Urbino, che si preoccupa di specificare da subito che la maggior parte delle convinzioni a riguardo sono imprecise, se non del tutto sbagliate. È opinione comune che gli adolescenti non seguano i media tradizionali come la televisione o i quotidiani, quando i dati affermano che si tratta invece di un metodo di fruizione diverso (il web) degli stessi canali. I giovani, a quanto pare, tendono a interessarsi ad argomenti condivisi da amici e conoscenti, ma non escludono a priori altre tipologie di contenuti, controllano spesso la veridicità delle informazioni come l’attendibilità delle fonti e prediligono la ricerca di notizie su dispositivi mobili. E se questo non può essere considerato propriamente un merito, non è nemmeno motivo di biasimo.

È presente al dibattito anche Mauro Casciari, inviato de ‘Le Iene’, il quale mostra un video girato qualche anno prima durante il Salone del Libro di Torino. Il motivo per cui decide di proiettarlo è uno dei temi fondamentali dell’incontro: come raccontare ciò che riguarda gli individui senza spettacolarizzarne gli aspetti negativi. L’argomento sono le sostanze stupefacenti e con una scusa la iena riesce a trovare cinquanta volontari disposti (inconsapevolmente) a sottoporsi a un vero test antidroga. Occupandosi di una vera e propria ‘dimostrazione sul campo’, Casciari mostra come dei risultati eclatanti perdano, alla luce dell’obiettività dei fatti, il loro apparente senso di immoralità.

Raccontare allora torna a essere sinonimo di mostrare, mostrare nel bene e nel male il quotidiano, perché – come spiega uno degli studenti durante la lettura di un passo scelto per l’occasione – «i giovani hanno bisogno di persone competenti, non di adulti privi del desiderio di confrontarsi».

Matteo Goggia

@TeoGoggia