Lavorare con empatia. Il ricordo di Alessandro Leogrande

Durante la prima giornata del International Journalism Festival 2018 c’è stato spazio, al Centro servizi G. Alessi, anche per un ricordo di Alessandro Leogrande, giornalista e scrittore scomparso il 26 Novembre 2017, da parte di suoi amici e colleghi: il professor Emiliano Morreale, gli scrittori Mario Desiati e Nicola Lagioia (che ha aperto l’incontro con un video messaggio) e Lorenzo Pavolini, giornalista per Radio 3.

Il ricordo

Non è stato facile per gli ospiti del panel. Inizialmente i loro visi erano contriti, come sotto sforzo, poi si sono fatti più leggeri con l’andare degli aneddoti. Ma non era solo lo sforzo emotivo. Tutti gli ospiti hanno sentito l’esigenza di far capire l’importanza del suo lavoro e delle sue caratteristiche umane.

“Dobbiamo capire la portata dell’esperienza, e dunque della perdita di Alessandro Leogrande, e l’unicità della sua figura. […] Era un intellettuale unico. In questo momento storico era una figura assolutamente unica per la sua generazione”, come ha detto Morreale all’inizio del suo discorso.

Una figura unica perché è riuscita in qualcosa di straordinario: unire una preparazione immensa ad un’attività frenetica, vitale. E mai autoreferenziale secondo Pavolini: “Non posso mai dire di aver avuto l’impressione che facesse qualcosa perché poi ne avrebbe dovuto scrivere. Anche quando incontrava il sindacalista per intervistarlo. Era questa la cosa formidabile. Trasformava anche le occasioni giornalistiche in un incontro umano”. Leogrande è riuscito a unire una gran cultura ad un lavoro quotidiano che gli permetteva di metterlo in pratica (grazie anche ad una certa “vocazione per le cause perse”, come ci ricordano sorridendo i tre speaker).

Anche se è partito da se stesso. O meglio, da ciò che aveva vicino. Per inquadrare questa unicità, dobbiamo partire dalla sua storia personale. Cresciuto a Taranto – d’estrazione intellettuale e cattolica (anche se era laico) –  per Morreale “ha avuto l’amara fortuna di trovarsi in un momento in cui gli sono passate accanto delle cose che ha intercettato e l’hanno portato lontanissimo, che l’hanno quasi sbalzato via con violenza. Si è trovato davanti, quando andava al liceo, l’elezione di Cito a sindaco, poi gli sbarchi degli albanesi, il naufragio della Katër i Radës, una crisi enorme della sinistra e del mondo dell’informazione durante la guerra in Kosovo. Poi il culmine del G8 a Genova, che lui aveva seguito”.  Tematiche che ha sviluppato nel corso degli anni, tramite un’intensa attività giornalistico-letteraria. Leogrande ha scritto libri (come ad esempio La Frontiera o Il Naufragio) mentre scriveva reportage per varie testate, e collaborava con riviste letterarie (è stato anche vicedirettore de Lo Straniero).

“La prima frontiera di Alessandro è stata la sua città”, dice Desiati e quotidianamente ha iniziato ad allargare il piano. Ha raccontato i temi più delicati del Sud Italia, come il contrabbando di sigarette, il caporalato e il loro collegamento alle mafie, l’arretratezza economica, i migranti e molto altro. Per Lagioia “è stato un grandissimo meridionalista del XXI secolo. Aveva intuito che chi non capisce il sud non comprende il resto d’Italia e  il resto d’Europa. Il Sud raccontato da Leogrande era la parte per il tutto.”

Leogrande univa un’attività frenetica ad un gran talento, che ha scoperto in modo quasi strumentale: “Non era affatto un giornalista. E non era soltanto uno scrittore. Lo era diventato quasi per necessità, poichè per fare quello che voleva fare poteva fare solo lo scrittore, in quel preciso momento”.

Erano soprattutto le sue caratteristiche umane a permettergli di lavorare così bene e ad avere un impatto così forte su chi gli stava vicino. Tutti e tre gli speaker si sono soffermati sulla grande empatia di Leogrande che gli permetteva di ascoltare chiunque senza però essere accondiscente o fazioso e di spiegarsi in maniera chiara, semplice, non ricattatoria perchè sapeva confrontarsi col diverso.

Ed ha espresso queste qualità anche nel suo stile di scrittura, esplicativo e al tempo stesso narrativo. Passando alla lettera E del suo alfabeto che ha utilizzato per esprimere i suoi pensieri, Desiati ha citato un pezzo de La Frontiera che, secondo lui, racchiude in poche righe cosa voglia dire essere scrittori (e giornalisti): “Bisogna farsi viaggiatori per decifrare i motivi che hanno spinto tanti a partire e tanti altri ad andare incontro alla morte. Sedersi per terra intorno a un fuoco e ascoltare le storie.”

“Non so se sarà possibile ripercorrere il suo esempio in qualche modo. Spero di si” conclude Pavolini. Però sarà sempre possibile sedersi intorno al fuoco, ascoltare le storie con umiltà, senza paura del diverso. Sperando di interiorizzare al meglio la figura di Alessandro, perché la sua eredità è pesante. Ma va portata avanti.

https://youtu.be/I-ycJUu-DPc