L’informazione culturale ai tempi degli youtuber

Foto: Giovanna Ortugno
Foto: Giovanna Ortugno

Come promuovere e diffondere la cultura oggi che i canali di informazione si moltiplicano con la velocità della fibra ottica? Come crearla in mezzo alla confusione di new media e mezzi analogici? Questi gli interrogativi da cui ha preso avvio la panel discussion “Cult-news. L’informazione culturale fra mainstream e web”, tenutasi nel primo pomeriggio dell’edizione 2015 dell’International Journalism Festival.

Sono intervenuti Loredana Lipperini, conduttrice di “Fahrenheit” su Radio 3, lo scrittore Wu Ming 2 (Giovanni Cattabriga) e Giorgio Zanchini, conduttore di “Radio anch’io” su Radio 1. che Ha moderato il dibattito Lella Mazzoli, docente di Sociologia della Comunicazione e Comunicazione d’Impresa all’Università di Urbino “Carlo Bo”.

La riflessione è iniziata osservando alcuni dati sulle modalità di informazione preferite dagli italiani. Mazzoli ha infatti anticipato alcuni risultati dell’ultimo sondaggio realizzato da News Italia, l’Osservatorio sulle Nuove Forme di Consumo di Informazione e sulle Trasformazioni dell’Ecosistema Mediale dell’Università di Urbino, che verrà pubblicato in occasione del Festival del Giornalismo Culturale a fine aprile.

L’88% degli italiani si informa attraverso la televisione, il 73% grazie alla rete. Quando gli si parla di cultura, il loro pensiero corre innanzitutto a viaggi, turismo e cibo, e in generale apprezzano la comunicazione che fa uso delle tecniche dello storytelling. Quelle che stanno alla base della serialità televisiva, il paradigma della narrazione contemporanea. Il principale problema che riscontrano nell’informazione culturale è il linguaggio: lo ritengono antico.

Lipperini ha confrontato queste percentuali con quelle relative alla lettura. Nel 2014, secondo il rapporto sulla produzione e la lettura di libri in Italia dell’Istat, solo il 41,4% degli italiani ha letto almeno un libro, una quota in calo rispetto al 2013, ed è diminuito anche il numero di lettori forti. Stando alle rilevazioni di Nielsen, l’azienda leader nelle ricerche di mercato in ambito editoriale, i market movers per quanto riguarda il commercio librario sono “Che Tempo Che Fa” e il Premio Strega, cioè due fenomeni televisivi. Inoltre, secondo “Tirature ‘15”, l’ultima edizione dell’annuario sul rapporto tra letteratura ed editoria pubblicato da Il Saggiatore e dalla Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, gli “intellettuali che fanno opinione” sono in primis Maurizio Crozza, Fabio Fazio e Luciana Litizzetto, anche se la top ten comprende anche Michele Serra, Francesco Piccolo e Beppe Severgnini. Come unico rappresentante di una cultura più tradizionale, Claudio Magris.

In questo panorama, la critica letteraria si relega sempre più nell’ambiente accademico, un po’ per scelta e un po’ per il rifiuto che le oppongono i giovani. Secondo Lipperini si rischia che la cultura, quella creata e trasmessa dai libri, subisca un processo di semplificazione eccessiva. Che la critica ai linguaggi antichi sia in realtà un’antipatia verso una comunicazione profonda.

È dunque essenziale ragionare sulle parole, avere consapevolezza del loro peso, anche quando si condividono esternazioni attraverso i social network. Su Twitter con un click si può distruggere la propria reputazione, la sera i telegiornali riprendono ciò che è accaduto nel pomeriggio su Facebook. È emblematico il recentissimo caso di Fabio Tortosa, il poliziotto che su Facebook ha rivendicato la sua presenza alla scuola Diaz la notte tra il 21 e il 22 luglio 2001, scrivendo “ci rientrerei mille e mille volte”.

Lipperini ha invitato chi voglia contribuire alla diffusione della cultura alla “militanza verbale”, anche sul web: solo attribuendo il giusto valore a ciò che scriviamo online, rifiutando ingiurie e commenti sterili, possiamo sperare di contribuire positivamente al dibattito culturale.

Gli intellettuali devono inoltre vedere la rete come un luogo in cui è possibile ascoltare i lettori, e rendersi disponibili a farlo. Purtroppo, ha affermato Lipperini, non esiste una vera società letteraria virtuale: navigando è facile scontrarsi con tanti ego impegnati a promuovere le proprie opere, presi nel tentativo di raggiungere “lo status di scrittore”.

Secondo Wu Ming 2, le narrazioni che si propongono di parlare a molti – senza però collocarsi tra i bestseller da ombrellone, molto popolari ma vuoti di significato – devono riscoprire una delle regole alla base di qualsiasi corso di scrittura: è il conflitto, l’interruzione della normalità, che genera le storie. Raccontando le contraddizioni si può sperare di creare significato, dunque scambio e cultura. Le tautologie non servono a nulla. Citando il filosofo Mario Tronti: “Il vero pensiero si riconosce in questo: che divide”.

Anche il linguaggio però ha il suo ruolo, ha concordato Wu Ming 2 con Lipperini. Storcendo le parole di Göbbels, “Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità”, Cattabriga ha notato come dopo essere state raccontate più e più volte, le storie vere possano suonare dei cliché, dei luoghi comuni non più legati alla contemporaneità. Da qui la necessità di rinnovare i linguaggi, anche restando all’interno di contenitori tradizionali, come i romanzi. Una via praticabile, ad esempio, è quella dell’ibridazione dei registri linguistici: nulla vieta di fondere narrazione ed argomentazione, la voce del reportage con quella del diario. Non a caso, oltre alle serie tv, va di moda anche la non-fiction narrativa.

Zanchini ha preferito sollevare la questione degli evidenti divari generazionali tra chi si informa prevalentemente online, e chi ancora si affida esclusivamente ai media tradizionali. Da un lato li intellettuali formatisi quando la società letteraria era ristretta non capiscono le forme comunicative legate alla rete, dall’altro molti ragazzi si fanno un’idea del mondo solo attraverso i post che leggono sulla bacheca di Facebook. In mezzo stanno le generazioni intermedie, consapevoli del potenziale di Internet, eppure spesso smarrite a causa dell’eclissarsi del vecchio sistema gerarchico.

Le riviste letterarie online e i blog culturali sono numerosi e molto attivi, ha ammesso Zanchini, però è difficile seguire il flusso continuo di informazioni e comprendere come la conversazione culturale si articola di link in link. Il servizio pubblico dovrebbe proporsi l’obiettivo di guidare i cittadini attraverso gli sconfinati territori della rete, per fare sì che al moltiplicarsi delle fonti e dei contenuti corrisponda anche una crescita di consapevolezza.

A partire dalle considerazioni sulle preferenze dei giovani, Lipperini ha parlato del rischio del “ribasso”: dai video degli youtuber ai libri di genere Young Adult, impera una tendenza all’abbassamento lessicale. Le parole che si distaccano dalla basica neolingua degli adolescenti stigmatizzano chi le usa: per avere successo devi mostrare che sei come tutti, dimostrando che chiunque altro potrebbe avere successo come te.

I lettori dei Wu Ming non si piegano di certo a questo tipo di logica distorta, eppure non sono estranei alle pratiche del web. Infatti Giap, il blog del collettivo bolognese, è uno dei più influenti tra i siti italiani che trattano di tematiche culturali, ed è contraddistinto da un alto livello di partecipazione dei lettori tramite i commenti. Proprio per questo, recentemente, è diventato un laboratorio di produzione culturale inclusiva: i commentatori più competenti e appassionati sono stati invitati dagli autori alla stesura di nuovi interventi. Ora sotto il nome collettivo di Nicoletta Bourbaki collaborano spesso con i Wu Ming, suggerendo temi da coprire, proponendo scalette, fornendo pareri sulla prima versione dei post.

Wu Ming 2 ha sottolineato come tali collaborazioni abbiano avuto origine in rete, ma si siano poi sviluppate in spazi fisici. Infatti, è sbagliato pensare che manchino “luoghi resistenti”, dove produrre cultura attraverso uno scambio diretto. In tutta Italia motivati animatori di comunità rendono possibili occasioni di incontro, e queste iniziative andrebbero sostenute perché la rete non può sostituirle completamente.

Fare approfondimento innovando, creare connessioni tra diverse piattaforme, digitali e analogiche, e tra intellettuali e pubblico: queste le sfide a cui si trova davanti chi si occupa di informazione culturale. Del resto veicolare il cambiamento è una delle funzioni del discorso culturale.