Linguaggio d’odio su Facebook: una sfida per le redazioni

Per la prima giornata del Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia, all’interno del ciclo di incontri Law and Order, Mirella Marchese ha condotto nella Sala Prori il panel Il linguaggio d’odio nei commenti dei lettori delle pagine Facebook dei quotidiani italiani.  La ricercatrice dell’Osservatorio di Pavia è stata supportata da Giovanni Ziccardi, professore di Informatica Giuridica  dell’Università degli Studi di Milano.

Un’analisi attuale

Durante l’incontro sono stati presentati i risultati della ricerca condotta dall’Osservatorio di Pavia in occasione del sesto rapporto di Carta di Roma, associazione che vuole attuare un protocollo deontologico per un’informazione corretta sui temi dell’immigrazione. Mirella Marchese focalizza l’attenzione sui commenti dei lettori delle pagine Facebook di cinque quotidiani italiani: Il Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa, Il Fatto Quotidiano e il Giornale. Per ognuno, l’ipotesi di ricerca è partita da un evento di cronaca che ha coinvolto un migrante, in particolare la sparatoria di Macerata del 3 febbraio 2018, quando il neofascista Luca Traini sparò da un’auto in corsa ferendo tre persone di origine subsahariana, rivendicando poi il gesto di matrice razzista come vendetta per l’omicidio di Pamela Mastropietro a opera di un uomo di nazionalità nigeriana.

I risultati della ricerca

“Ho pensato ci fossero cornici argomentative ricorrenti nel mare eterogeneo dei commenti che i lettori postano sulle pagine Facebook dei giornali”, spiega Marchese. Questo è un punto importante, perché “è veramente un mare eterogeneo perché sono commenti più argomentati, singole parole, emoticons, a volte insulti”. Nonostante la diversità, “ci sono alcuni leitmotiv, linee dentro le quali raggruppare i commenti dei lettori”. Il linguaggio è apparso fin da subito carico di espressioni razziste, stereotipate, ricche d’odio e incitamento alla violenza.

Il dato più allarmante, continua la ricercatrice dell’Osservatorio di Pavia, è stato però la permanenza dei commenti nel tempo: la ricerca è stata condotta a nove mesi dall’evento, mostrando che i commenti pubblicati subito dopo l’accaduto non sono stati rimossi. Per offrire una fotografia d’insieme della situazione, sono state identificate quattro macrocategorie con i relativi post per dare uno spaccato qualitativo sulle reazioni immediatamente successive all’evento. La prima cornice argomentativa è stata rinominata “le colpe della politica”, in riferimento sia ai singoli che a gruppi politici che spostavano l’attenzione dal post iniziale, assomigliando a risse verbali. Il secondo frame ha riguardato invece “l’invasione, l’allarme, e il razzismo”, che spesso convivevano negli stessi commenti. Con questa narrativa ricorrente, lo scenario apocalittico si è unito all’allarme sicurezza e criminalità:”questi commenti contenevano un forte carico di stereotipi fortemente negativi ed espressioni esplicitamente razziste, molti contenevano un linguaggio depersonalizzante rispetto agli immigrati. ‘questa gente qui’, ‘gli africani’ […] se non apertamente insultante”. Questa spersonalizzazione portava a parlare dei migranti “come merci: quanti ne importiamo?”. Il terzogruppo in cui potevano essere ricondotti i commenti riguarda il “noi contro loro, del razzismo al contrario o della guerra tra poveri”, secondo cui è data preferenza agli immigrati rispetto agli italiani. Infine, l’ultima cornice analizzata è stata quella della “giustificazione o glorificazione della violenza”, mostrando un chiaro sostegno per il gesto, quasi ineluttabile. Non sono mancati “i commenti che ho messo sotto l’etichetta di da Far West” che”non erano diretti solo alle persone di colore ai quali Tranni ha sparato”, ma anche contro di lui, arrivando perfino a chiedere che fosse impiccato.

La sfida della moderazione

A fare la differenza sono le segnalazioni alla piattaforma Facebook, gli strumenti interni e le policy delle redazioni, ma soprattutto la comunità di commentatori che può intervenire per moderare in senso orizzontale rendendosi così un “anticorpo della rete”. Le redazioni possono utilizzare dei filtri per cancellare commenti che contengono parole specifiche. Spesso, però, a far da padrone è il buonsenso: alcuni post sono osservati speciali, destinati a generare una maggior interazione.

Infine, Giovanni Ziccardi ha portato all’attenzione alcune riflessioni inerenti alla funzione dei commenti. “Il commento è lasciato correre dai grandi quotidiani online perché genera traffico” . Sono rari infatti i commenti che evidenziano errori o permettono di approfondire, più spesso portano a discussioni e liti personali senza dare alcun valore aggiunto al topic di partenza. Inoltre, “non pensate assolutamente che sia possibile automatizzare in qualche modo il controllo del linguaggio d’odio o dei commenti”. Semplicemente,  “non può esistere un algoritmo che possa intercettare in maniera automatica questo linguaggio, che non è fatto di parolacce, ma uno può veicolare in maniera elegante, raffinata e senza usare alcun termine forte.” La conclusione è semplice: “Questi tipi di commenti in coda agli articoli per i quotidiani sono più importanti degli articoli stessi in un’ottica di business e profitto”. Questo però sposta l’attenzione dalla impossibilità di un controllo capillare alla volontà di intervenire, creando così un circolo vizioso senza soluzione.