La professione di lobbista è circondata da un alone di mistero ed è preceduta da una fama terribile. Eppure quest’oscuro personaggio non esercita un’attività di per se negativa o tanto meno inutile.
Come spiegato in un articolo de Linkiesta il lobbista è “un tecnico che rappresenta un gruppo di interesse e che ha l’obiettivo di comunicare con chi gestisce il processo decisionale per influenzarlo”. In apertura del panel Lobby e Potere, Helen Darbishire, attivista per la difesa all’accesso alle informazioni, ha dichiarato che “non è realistico sperare di eliminare l’attività di lobbying o tanto meno questo è un obiettivo desiderabile”. Infatti, se chi prende le decisioni non ascolta i gruppi di interesse non ha legittimità: “anche quello che stiamo facendo oggi alla presenza di un politico italiano è lobbismo” aggiunge Darbishire. “L’importante è che le regole del gioco siano chiare e ci sia la massima trasparenza”.
Con la sua Access Info Europe, Helen Darbshire partecipa a Politics for People, campagna nata dalla collaborazione tra diverse ONG attive nel panorama europeo: l’obiettivo comune è spingere i candidati alle prossime elezioni comunitarie a impegnarsi nel garantire maggiore trasparenza e a istituire un registro obbligatorio per i lobbisti.
In realtà in Europa esiste già un registro ma l’iscrizione attualmente non è obbligatoria: questo rende impossibile comprendere chi agisca per influenzare le decisioni e chi sia il destinatario di queste pressioni. Pascoe Sabido, dell’Osservatorio Europeo sulle Corporazioni, sostiene che in Europa sono attivi dai 15 ai 30 mila lobbisti, ma che è impossibile stabilire un numero preciso senza un registro obbligatorio. Il dato più interessante citato da Sabido è che circa il 60% dei lobbisti rappresenta interessi economici di privati, il 20% gli interessi dei governi e un altro 20% è lo spazio riservato alle ONG. I diritti umani e il bene pubblico sono quindi sacrificati: in un tema essenziale quale il cambiamento climatico l’Unione Europea ha recentemente posto degli obiettivi molto deboli per il 2030 perché il settore del carbon fossile è attivissimo nella sua attività di lobbying.
Per descrivere la situazione italiana sul tema, Andrea Menapace di Diritto di Sapere parte dal diritto di accesso alle informazioni: senza una cultura della trasparenza e dell’Open Governament non è possibile intervenire sui gruppi di pressione. La legge 241/90, che attualmente regola l’accesso ai dati per i cittadini, è tra le leggi più restrittive al mondo. Nel monitoraggio realizzato da Diritto di sapere e presentato l’anno scorso proprio al Festival il 73% di richieste di accesso ad atti amministrativi non ha ricevuto alcuna risposta.
Secondo Ernesto Belisario in Italia ci sono molte chiacchiere e pochi fatti in tema di regolamentazione delle attività di lobbying: 53 proposte di legge hanno cercato di istituire un registro nazionale, ma anche i disegni più promettenti, come il d.d.l. Santagata nel 2006, sono naufragati nell’iter parlamentare. È vero che tre regioni in Italia (Toscana nel 2002, Molise e Abruzzo) hanno deciso di creare dei registri regionali che traccino i lobbisti, ma secondo Belisario queste iniziative hanno soltanto “burocratizzato il tema senza portare ad alcun adempimento pratico”.
Il Vicepresidente della Camera, Luigi di Maio, ha dichiarato che è stato istituito un gruppo di lavoro alla Camera per studiare la regolamentazione dell’accesso al Parlamento definendo chiaramente spazi e modi in cui i gruppi di pressione potranno agire. Questo avrà ricadute anche sulla stampa parlamentare: “ci sono 411 accessi registrati in Parlamento e 75 sono di giornalisti pensionati”dice Di Maio. Secondo il Vice Presidente l’intento non è quello di impedire il lavoro di lobbisti e giornalisti ma garantire la massima trasparenza e permettere ai cittadini di sapere chi cerca di influenzare quale esponente pubblico.
Claudio Cesarano