L’ottima memoria di Abbate e Buttafuoco

Foto: Marco Cappellano
Foto: Marco Cappellano

Fulvio Abbate, palermitano un tempo comunista, scrittore e fondatore di Teledurruti, e Pietrangelo Buttafuoco, catanese un tempo missino, giornalista de Il Foglio e La Repubblica. Insomma, “l’altrove del giornalismo”. Cosa ci fanno questi due in un Festival ricco di hacker, difensori dei whistleblower e avvocati dell’Unione Europea? Il programma non dice molto, a parte un nome per l’evento che li vede protagonisti – “Sulla memoria” – e i titoli degli ultimi libri di questi personaggi singolari, Il dolore pazzo dell’amore di Buttafuoco, e Intanto anche dicembre è passato di Abbate. Si è trattato dunque di una doppia presentazione? Non proprio, anche se alcune pagine sono state evocate, e di certo il cunto di Buttafuoco e i ricordi di Abbate hanno molto in comune.

Per la terza volta Abbate e Buttafuoco sono venuti al Festival a fare coppia, rubando spazio a chi parla d’impegno sociale, per donarlo all’assoluto e alla memoria. Inizialmente si sono definiti “arance in terra”, poi Abbate ha dichiarato: “Mi reputo un artista”. Subito dopo ha rimpianto di non poter scrivere tutto ciò che vorrebbe sui giornali – anche se Il Foglio gli ha permesso di trattare della scomparsa dal dialogo pubblico del 69, posizione sessuale troppo hippie per questi tempi, mentre – sempre secondo Abbate – il pompino gode di ottima salute.

Buttafuoco invece, nelle parole di Abbate, è “pieno di fantasia, e sovente il giornalismo tende a sacrificare la fantasia dello scrivente”. Entrambi amano il volo infatti, il volo della mente, e l’evento di ieri ne è stata una dimostrazione. Infatti il divagare tra aneddoti, etimologie e ricordi più o meno lontani ha pervaso la Sala Raffaello, insieme a tanti personaggi del passato. Primo fra tutti Alessandro Tasca Filangeri Principe di Cutò, aristocratico socialista, vissuto a cavallo tra XIX e XX secolo, che per gli operai era il signor Tasca, ma per i poliziotti il Principe di Cutò. Segue Antonio Ingroia che, stando a Buttafuoco e Abbate, ora canta ai matrimoni – una “soluzione dada all’impegno”. E poi Massimo Ciancimino, che Abbate ha tra gli amici di Facebook.

Altra protagonista importante: la Sicilia. “Ci sono stati anni in cui la Sicilia esisteva dal punto di vista mediatico e narratologico” ha affermato Abbate. Si riferiva agli anni di Falcone e Borsellino, mentre oggi “della Sicilia non gliene frega niente a nessuno”. Il pubblico non sembrava molto convinto e la colpa è stata attribuita a Camilleri.

Per la Sicilia però Abbate sogna “il bombardamento al napalm” quando torna a Palermo. Buttafuoco propone un’immagine più complessa: quella di una mano di Atlante che sollevi l’isola a tre punte, la ribalti e la scuota facendo cadere tutti in mare, infine la rimetta al suo posto.

La presentazione dei libri dov’è? Buttafuoco, davanti a un cd di Giorgio Conte, ha capito che un manufatto come un disco o un romanzo non è che un biglietto da visita, qualcosa che deve essere passato di mano in mano, e che da solo non va da nessuna parte. Ma più che il suo libro Buttafuoco ha consegnato al pubblico una performance artistica, declamando definizioni altisonanti e interrogando Abbate sull’arte.

L’arte che è assoluto, non è Ingroia, né la legge elettorale – il compositore Erik Satie diceva, già a inizio ‘900, di non aver bisogno di chiamarsi artista, e di poter lasciare questa parola a parrucchieri e manicure. L’arte che deve essere piede di porco, come anche il giornalismo dovrebbe essere. In pratica un’arma contro i poteri costituiti, tra cui il peggiore è il luogo comune, “il trafficare incondizionato nel conformismo, l’applauso quando si dice qualcosa con cui tutti sono d’accordo”. E quest’ultima espressione ha evocato uno spettro preciso; Buttafuoco non ha avuto pietà: “Non se ne può più del concertone del primo maggio”. Chi vuole essere antagonista va Taranto. E Piero Pelù ha ricevuto più applausi quando ha citato la mafia – non c’entra nulla con la festa dei lavoratori, ma così uno va a colpo sicuro – non mentre se la prendeva con Renzi.

L’aver scelto di essere un artista ha però portato Fulvio Abbate a smettere di riflettere sui problemi della sinistra. Su Renzi non è stato detto molto, se non che secondo Buttafuoco rappresenta “l’apoteosi del piritollame”. Dicesi piritollo “l’individuo che con dito alzato pretende di disegnare l’universo”, qualcuno che non vive di contenuti, ma che oggi spopola in Italia. Etimologicamente il vocabolo deriva da pirito, che significa peto. Questo ha ricordato ad Abbate di un collega del padre, Rino, a cui piaceva scoreggiare dentro la sua porsche – coi finestrini rigorosamente chiusi – per poi colpire con una lama di tanfo il primo vigile che lo avrebbe fermato in quel di Cefalù.

Un altro aneddoto invece ha riguardato proprio il padre di Abbate, che, già anziano, trovava insopportabile un medico che testava la sua memoria per comprendere lo stato di avanzamento della demenza. Dopo la morte del padre, Abbate ha trovano in cantina una cartella contenente tremila euro in contanti; la dimostrazione che il padre qualche problema di memoria lo aveva davvero.

Qualche altro personaggio è stato evocato: Carmelo Bene (con tanto di applauso alla memoria), Walter Chiari, Ezra Pound. E poi le librerie, quelle che stanno scomparendo dalle nostre città. Buttafuoco era libraio e trova che questa sia davvero una brutta notizia, un’emergenza di cui nessuno parla, per quanto per poter affrontare la complessità la lettura è necessaria.

È stata ricordata in particolare la chiusura delle due librerie vicino a piazza Montecitorio. Pare che abbia gravato la presenza della gens nova, perché i cattivi della prima e della seconda repubblica compravano libri. Il pubblico ha applaudito ascoltando questa accusa, e Abbate, accennando uno sguardo sdegnato, ha detto: “Non facete così!”. Il pubblico ha riso.

Dunque, cosa ci fanno Abbate e Buttafuoco in un Festival ricco in hacker, difensori dei whistleblower e avvocati dell’Unione Europea? Servono per dirci che per loro: “Il mestiere del giornalista non è altro che la cabina telefonica in un angolo della città dove non va più nessuno”.
(Io però propongo di tentare di volare a nostra volta e pensare che non sia davvero così).

Ludovica Lugli