Luca Sofri e il giornalismo, la passione al di sopra del vile denaro

luca sofri

Io non credo che il lavoro debba essere pagato. Io credo che qualunque tipo di lavoro possa conoscere anche delle retribuzioni, delle soddisfazioni più varie che non sono necessariamente monetizzate. Trovo bizzarro che noi stesso che andiamo dicendo che la nobiltà del nostro lavoro deriva da altri fattori, come il servizio alla comunità o la qualità dell’informazione, poi pretendiamo allo stesso tempo che questi aspetti vengano quantificati in sistemi economici e monetari. No, esistono quantità di altre motivazioni e occasioni in cui possiamo liberamente lavorare gratis senza sentirci sfruttati. Anche io, qui, al Festival del giornalismo, lavoro gratis”.

Appena Luca Sofri è arrivato alla metà delle sue “Trentuno domande sul giornalismo“, tema dell’incontro inserito all’interno del calendario del Festival Internazionale del Giornalismo, nella sala del Dottorato il brusio si è fatto invadente. Come contraddire, in quel momento, il direttore del Post, visto che le domande le faceva lui e visto che i tempi del Festival avevano reso il suo spazio sincopato? Non è l’unico spunto controverso e controcorrente che il giornalista lancia durante la sua ora e mezza di one man show.

Dopo tutto, lo aveva detto fin dall’inizio: “Metterò della carne sul fuoco sul tema del cambiamento della professione, vi offrirò spunti da portare a casa e condividere con colleghi e amici, twittatele, fatene quel che ne volete”. Nessuna domanda è mai  banale, con il proposito di indagare su temi complessi. Come il chiedersi quale limite di confine esista tra il nobile ruolo di servizio pubblico dell’informazione e la mera produzione commerciale delle notizie. Un ventaglio nel quale “ciascuna  delle testate attualmente esistenti in Italia si posiziona in un punto diversissimo, dall’uno all’altro a estremo” lancia l’input Luca Sofri. Così come non è banale oggi chiedersi se le notizie debbano essere necessariamente nuove per essere pubblicate, oppure se ci sia differenza, e quale questa possa essere, tra gli aggregatori di notizie e i produttori.

Min. 55.07: “Io non credo che il lavoro debba essere pagato”.

Min. 58.19: “Non è un assioma che il lavoro debba essere pagato”.

Anche la notizia in sé oggi non è più vicina a quel che insegnano da vecchia scuola, il classico “cane morde uomo o uomo morde cane. “Esistono cose interessanti, che aiutano a capire una determinata porzione di mondo pur non essendo tradizionalmente notizie – suggerisce ancora Luca Sofri. I gattini per esempio, che invadono tutte le homepage, non sono notizie. Per noi del Post, però, un servizio fotografico sui lemuri può diventare una notizia, perché racconta di un animale che non molti conoscono e che vive in una porzione di mondo dove magari è difficile arrivare fisicamente”.

Ci sono poi le domande esistenziali e un po’ tecniche per chi scrive, come se serva o no – e la risposta è un no categorico – la chiusa in un pezzo. E le grandi domande esistenziali, che si collegano ai temi della crisi e della mancanza di fondi nelle redazioni, come quella se serva o meno essere sul posto o a cosa servano i corrispondenti all’estero. “La risposta che pare ovvia, oggi non è più quella ovvia – rimarca sul tema il direttore del Post -. Con la diffusione di Twitter, soprattutto nel settore Esteri dove le agenzia di stampa italiane sono carenti, non è poi così necessario essere sul posto. Posso sapere più cose dalla mia scrivania di Milano, intrecciando le informazioni che trovo su web, tv straniere, social media, che stando per strada in mezzo a una rivolta”. E se qualcuno si è mai interrogato sull’utilità dei commenti dei lettori sulle testate o nei blog on line, non si crucci oltre. “Sono sopravvalutati, non arricchiscono in nessun modo quello che si è scritto. Però, quando li avevamo aboliti per un certo periodo dal Post, ci siamo sentiti perduti e ci è mancato un feedback. Anche se, ogni tanto, ci indispongono ancora”.

Caterina Cossu
@caterinacossu

[Aggiornamento:
Dopo la pubblicazione del testo si è proceduti immediatamente a verifica della dichiarazione iniziale, ascoltando la traccia audio dell’intervento. Riportiamo di seguito, per rispetto dei lettori, la versione originale, che risultava errata:

“Non abbiate la pretesa di farvi pagare per il vostro lavoro giornalistico. È un lavoro che dà gratificazioni e riconoscimenti che non sono monetizzabili. Non è un assioma che il lavoro debba essere pagato, ci sono altre motivazioni che ci spingono a fare i giornalisti”.

Facciamo presente, in ogni caso, che le attuali polemiche si riferiscono alla seconda versione che potete leggere a inizio articolo, che è corretta.
Non ci sono inoltre pervenute, dalla pubblicazione, richieste di rettifica.]

35 thoughts on “Luca Sofri e il giornalismo, la passione al di sopra del vile denaro

    1. Però per favore, capisco la delicatezza dell’argomento, ma evitiamo i commenti contro la persona, altrimenti sarò costretto a moderarli. Se ha detto una cosa sbagliata, allora è possibile confutarla, o controbattere senza scadere in toni offensivi.
      Ringrazio tutti in anticipo per gli sforzi fatti in tal senso.

      1. Scusa collega, immagino tu sia un collega, ma se uno scrive una cazzata e la firma credo se ne assuma anche la responsabilita’, o no? Sono I rischi del mestiere, dicono. Con chi dovremmo prendercela?

        1. Se critichi la tesi di una persona dicendo che sta dicendo x solo perché è y, è fallacia ad hominem. Preferirei venisse evitata.

          1. in termini a lei accettabili, allora, la persona sta dicendo X perchè non ha la neccessità, arrivata a fine mese, di pagare l’affito o il mutuo, le bollette, magari fare la spesa per nutrirsi.

            altro che ad hominem

          2. In termini a me accettabili, se l’argomento y è sbagliato, lo è a prescindere dal fatto che x non abbia quella necessità.
            Altrimenti Z, che è precario, potrebbe usare l’argomento y ed essere credibile, per il suo ragionamento.

          3. Ah certo, perché tutte le argomentazioni sono uguali e meritano lo stesso rispetto a prescindere da chi le dice. Per favore…siamo un po’ più seri: siamo tra persone adulte non tra ragazzini.

  1. Poi quando arrivano le tasse e i conti da pagare diamo due chili di soddisfazione al posto del vile denaro!! Non credo che chi deve ricevere il pagamento la pensi allo stesso modo!!

  2. Per certi versi ha ragione. Ma si può dire che c’è una confusione di base nel concetto. C’è ancora bisogno di qualcuno che veda, o che quantomeno faccia esperienza diretta di quello che accade, altrimenti si parla di cose decontestualizzate, cioè si “verbalizza” quello che sta accadendo: che lo faccia uno o lo facciano tanti non cambia..

  3. Si ok, ma come mangio se non mi paghi ? Vuoi collaboratori soddisfatti appagati e motivati o dei facchini ?

  4. Che gente assurda gira su questo pianeta: soggetti col vizio di mangiare che non riescono a pagare in passione alla cassa del supermercato.

  5. Questa storia di lavorare gratis va avanti da un paio di anni, soprattutto i giornalisti dovrebbero assumersi l’onere della notizia senza compenso.
    Certo, il nascere come funghi di pennaioli che non riconoscono una notizia da una bufala, o che sparano a zero su qualsiasi argomento a loro sconosciuto, dovrebbe far capire al signore -di cui pare non si possa fare il nome- che c’è qualcosa di sbagliato nel sistema. facciamo che MERITO=STIPENDIO, scrittorucolo= neanche gratis?

  6. Mi pare che il concetto perverso sia un altro, e cioè che non essere pagati dovrebbe però essere una scelta di chi i soldi dovrebbe riceverli non di chi dovrebbe darli…altrimenti dalle mie parti non solo non è lavoro ma non è nemmeno passione ….è schiavismo.

  7. Queste affermazioni, a parte la trasformazione del settore dell’informazione, in cui la barriera fra produttore e utente dell’informazione si è ormai aperta (e questo non è necessariamente un male), pongono la questione del rapporto fra il valore del lavoro e il suo prezzo, ossia il salario. Magari qualcuno penserà che uso termini ottecenteschi, ma tanto è. Il vero punto è che il sistema industriale dell’informazione non solo è una drammatica cr4isi di trasformazione che vede anche i grandi attori in mezzo al guado, ma è forse l’unico in cui c’è una costante offerta di lavoro sottopagato o gratuito. 12 anni fa facevo il caposerrvizio della cronaca di un giornale quotidiano locale e mi arrivavano cv anche molto buoni di gente che si offriva di lavorare gratis, con la speranza di entrare e poi magare di essere anche, in seguito, messa in regola e pagata. Ho sempre sconsigliato questo sistema poiché se un* fissa a zero il valore (e il prezzo) del proprio lavoro sarà molto difficile avere non dico 100, ma 10. Si potrebbe chiedere a Luca Sofri se sia disposto cedere spazi pubblicitari gratuiti per la sola soddisfazione di vedere crescere nuove aziende, senza chiedere nulla in cambio. Chissà come risponderebbe.

    1. Purtroppo il settore dell’informazione non è affatto l’unico con questa dinamica, nella musica è lo stesso se non peggio…
      Almeno per scrivere si spende meno.

  8. Queste sono affermazioni gravissime rese ancora peggiori dal fatto che a pronunciarle sia il direttore di una testata. Il lavoro va pagato e non ci devono essere dubbi in merito. Non esiste che venga ricompensato con le soddisfazioni soprattutto se è un lavoro svolto per conto di altri, cioè per conto di testate che dal mio lavoro guadagnano. Quindi ha poco da filosofeggiare, il direttore, perché lui il vile denaro che arriva dai click sui suoi articoli, non credo lo schifi. È vero, il servizio che fai alla comunità e la sensazione che tutti abbiamo provato quando qualche nostro lavoro ha prodotto gli effetti sperati sono impagabili ma questi non annullano il dovere di retribuire il lavoro di un giornalista che, tra l’altro, rischia. Bisognerebbe vergognarsi anche solo di pensarla una cosa di questo tipo perché è a causa di questo atteggiamento se il lavoro del giornalista vale nulla e se ci sono tanti colleghi a spasso e tenuti per le palle. Che rabbia mi fa sentire certe cose, ragazzi.

  9. Se io produco qualcosa che un’altra persona pagherà per avere non capisco per quale ragione io non debba essere retribuito. Se produci articoli che nessuno pagherà mai allora fatti un blog e pubblicali per conto tuo. Puoi chiamarlo volontariato, hobby, passione o volontariato.

  10. Scusate ma per me conta molto chi ha detto queste parole, visto che il soggetto in questione non è solo il direttore di una testata, ma lo è diventato evidentemente anche grazie al cognome importante che ha, per non parlare del fatto che è il marito di una giornalista strapagata. E aggiungiamoci pure che a 50 anni appartiene a quella generazione di miracolati che hanno avuto a disposizione un mercato ampio, con tante possibilità di essere assunti. Quindi questo genere di argomenti, detti da lui, non fa altro che provocarmi una grande rabbia. Perché questo qui il precariato non l’ha mai conosciuto, abituato evidentemente a bazzicare certi salotti radical chic. Fidatevi che se si fosse chiamato Rossi a quest’ora non sarebbe dove si trova. Meno ipocrisia, fatemi il piacere.

  11. lavoro[la-vó-ro] s.m.
    Attività materiale o intellettuale per mezzo della quale si producono beni o servizi, regolamentata legislativamente ed esplicata in cambio di una retribuzione(Dizionario online tratto da:Grande Dizionario Italiano di GABRIELLI ALDO Dizionario della Lingua Italiana Editore: HOEPLI)

    Se è un lavoro, quindi, è retribuito, altrimenti è altro (hobby, passione,volontariato o beneficenza).

    Se il nostro compito è informare, il fraintendere in maniera più o meno disinteressata il significato delle parole è un pessimo inizio.

  12. “Anche io, qui, al Festival del giornalismo, lavoro gratis”.

    AH AH AH AH AH!
    Ovviamente non rido perché Sofri non è stato retribuito al Festival di Perugia, ma per l’inconsistenza dell’affermazione.

  13. In genere non commento mai su internet ma oggi farò uno strappo alla regola. Due cose Luca Sofri, la prima è che ti ringrazio, perchè se avevo dei dubbi me li hai tolti. La seconda è che hai perso un lettore.

  14. Mi sembrano parole in libertà. Dico solo che per due giorni non si è parlato d’altro che della FALSA NOTIZIA della trattativa tra il capo ultrà del Napoli, le società e le forze dell’ordine per far giocare la finale di coppa Italia, mettendo in secondo piano quella vera che era la sparatoria avvenuta nel pomeriggio. Se i giornalisti (alcuni l’hanno fatto) fossero andati sul posto e si fossero informati con la questura invece di copiare-incollare da twitter, probabilmente non sarebbe girata la falsa notizia (smentita nel giro di 48 ore dal questore e persino dal capo ultrà) e si sarebbe offerto un servizio migliore.

    Qui (se posso allegare, se no rimuovetelo) un mio articolo dove commento questa cosa, che sembra paradossalmente una smentita preventiva a ciò che ha scritto oggi Sofri Jr.

    http://www.ilquotidianoitaliano.it/attualita/2014/05/news/genny-a-carogna-e-la-trattativa-che-non-ce-mai-stata-166585.html/

  15. Qualunque lavoro fatto con passione e che dia soddisfazioni non va fatto per denaro, giornalismo, chirurgia, arte, però come tutti i lavori va equamente retribuito. Diversamente diventa un hobby o una forma di sfruttamento o le due cose insieme. Direi che Sofri o ha detto una cavolata o non si è spiegato bene, e questo per un comunicatore di professione non è il massimo.

  16. Ci sarebbero tante cose da dire sul marcio in Danimarca, su come questa professione andrebbe riformata. Quella che ha detto lui, in ordine di importanza, e’ l’ultima.

  17. E’ il liberismo. Promuovono tutti la causa liberista. Non avete idea di quanto siano ammanicati.

  18. E’ il classico caso in cui il sazio non crede al digiuno. Un affermato quanto pluripagato giornalista dinanzi alla disoccupazione giovanile, allo sfruttamento dei precari, non può affermare queste oscenità. Anche per il solo rispetto della dignità di noi giovani precari! Solo 4 giorni fa su Diario di Adamo, un blog di VanityFair, a ridosso della storica giornata in cui ormai non c’è nulla da festeggiare, ho scritto un racconto ironico quanto amareggiato sulla mia condizione di “creativa” precaria.
    Se vi va, leggetelo! http://diariodiadamo.vanityfair.it/2014/05/02/lavori-creativi-aaa-apprendista-tecnico-della-lavatrice-offresi/
    Ha ragione Sofri, la passione in primis, ma il volontariato a lungo termine non è gratificante. Neanche gli operatori delle cooperative sociali lavorano solo per la “gloria”!

  19. In uno dei suoi raccontini surreali, Buzzati sosteneva che chi fa un lavoro di soddisfazione, colto, “che realizza”, per usare un’espressione anni ’70, dovesse essere pagato meno di chi fa un lavoro pesante, usurante, sgradito. Tutti e due saranno soddisfatti, uno per la qualita’ della sua vita e del suo lavoro, l’altro per i soldi che guadagna. Per tanti anni mi sono chiesto: “Perche’ no?” e non ho ancora trovato una risposta.

    1. “Io la risposta ce l’ho, grazie alla mia cultura superiore. Quanto me la paga? Se la vuole pagare di meno, vada pure a ottenerla da un operaio, se ci riesce”

      Ecco, questa è la risposta. Un caso classico di “domanda – offerta”; semplice no? Ah, la può tenere gratis.

  20. Anche quella del medico è una professione che si può fare bene solo se motivati da autentica passione. E tutte le così dette “helping professions”? Insegnanti, assistenti sociali, educatori professionali… se non hai passione dai fuori di matto. Logicamente, per passione si fanno tutti i lavori legati all’arte. Quanta soddisfazione e orgoglio, quando dopo lunghe prove, e studio, e sacrifici, si viene applauditi, acclamati! Ma poi, in fondo, ogni professione o mestiere richiederebbe passione. Un cameriere che lavora con motivazione e passione per il proprio lavoro fa sempre piacere (anche lui rende un servizio). Quindi, sarei portata a dire che nessuno dovrebbe essere pagato. Anzi, dovrebbero pagarci PER NON lavorare. Perché non ci abbiamo pensato prima?

  21. anch’io faccio il giornalista da anni praticamente gratis. Non ditelo però ai miei creditori, che credono che prima o poi riuscirò a pagare tutti i miei debiti.

  22. Ci sono alcune intuizioni da sottolineare. Oggi c’è un’abbondanza di notizie e sempre meno disponibilità a pagare da parte dei “fruitori”. Se io ho bisogno di sapere qualcosa, per esempio su quel che accade in Val di Susa, faccio una ricerca su google o vado a comprare un quotidiano sperando che tra un mare di articoli ed editoriali ci sia un trafiletto sulla notizia che mi interessa, filtrata dalla sensibilità della redazione?

    Altra cosa è il giornalismo online, che si mantiene attraverso la pubblicità come su http://www.polistv.it

  23. L’intervento fa sorridere, pensando alla quantità di “bufale” giornalistiche accreditate anche da giornali di grosso calibro.
    Chi fosse interessato può cercare le pagine Facebook “Bufale un tanto al chilo” e “La menzogna diventa verità e passa alla Storia”.
    Allora, o chi pubblica notizie false ha deciso di fare il giornalista per pura passione per lo scherzo e la disinformazione, oppure è pagato talmente poco, ma talmente poco, che per guadagnare quel minimo che gli consente di pagare l’affitto setaccia notizie su Internet – come consiglia di fare Sofri – senza nemmeno prendersi la briga di controllare. Vivremo sempre più così, con giornalisti professionisti sottopagati che diffondono notizie false e semplici appassionati che li smentiscono?
    Harry Frankfurt, nel suo saggio “Stronzate”, scriveva che sono finiti i tempi di Sant’Agostino in cui si distingueva la Verità dalla Menzogna: viviamo nell’epoca in cui si può dire qualunque stronzata, basta ripeterla all’infinito perché tutti se ne convincano, e se non è vera, chi se ne frega.

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