Migrazioni: le notizie dimenticate

Come si parla di rifugiati sui media, come si danno le notizie che riguardano la migrazione e quanto siamo informati sulle questioni relative al fenomeno. Questo l’oggetto della discussione del panel “Migrazioni: le notizie dimenticate, il racconto dei paesi di origine e transito”, che ha aperto il pomeriggio della prima giornata di International Journalism Festival, in sala Raffaello all’Hotel Brufani.

Al tavolo quattro panelist che, ognuno in un contesto di studio e lavoro differente, si occupano di studiare e indagare il rapporto complesso tra migrazione e media: Zakaria Mohamed Ali, dell’Archivio Memorie Migranti, Paola Barretta, dell’Osservatorio di Pavia, Marino Sinibaldi, direttore di Radio 3, moderati da Giovanni Maria Bellu, presidente dell’Associazione Carta di Roma.

È proprio quest’ultimo ad aprire la discussione, spiegando alla platea l’importanza del lavoro della Carta di Roma: nato nel 2008 come codice deontologico per i professionisti dell’informazione, viene affiancato nel 2011 con l’associazione omonima che ne diventa l’organo di vigilanza, occupandosi di monitorare le notizie relative alla migrazione, creando un rapporto annuale con i risultati raccolti e facendo formazione sul tema.

Le regole del codice partono da dettami che potrebbero sembrare ovvi, ma che in realtà non lo sono: come quella di usare, nel fare informazione sulla migrazione, solo termini corretti giuridicamente. “La necessità di ribadire concetti apparentemente facilmente deducibili dalle norma – osserva Giovanni Maria Bellu – rivela come su questo tema le cose ovvie spesso non lo siano” e cita l’esempio dell’utilizzo massiccio e improprio della parola “clandestino”, giuridicamente e tecnicamente sbagliata. Nonostante questa difficoltà intrinseca, l’attività dell’Associazione sembra dare i sui frutti: c’è maggiore informazione, sensibilità e il linguaggio degli operatori dell’informazione si è evoluto naturalmente. Dall’altra parte si assiste però a un fenomeno speculare, per cui molti rivendicano l’uso dei termini giuridicamente scorretti per connotare politicamente e anche attraverso il linguaggio una loro posizione sul tema.

Paola Barretta prende la parola presentando una ricerca dell’Osservatorio di Pavia, da sempre occupato nell’analisi e nelle rilevazioni economiche, politiche e sociali rispetto a media e democrazia, pluralismo, sviluppo sostenibile, governance e diritti umani. L’Osservatorio ha collaborato infatti con la Carta di Roma allo studio su come i media abbiano raccontato negli ultimi anni il fenomeno migratorio. Nel tentativo di capire, ad esempio, quale sia il legame tra percezione del fenomeno e racconto che ne viene fatto.

La ricercatrice parte da un’evidenza sommaria che emerge dall’analisi: molte delle notizie riguardanti la migrazione in realtà dicono poco sull’origine del fenomeno. E lo argomenta presentando alcuni numeri che emergono dallo studio dell’attività di organi di stampa e trasmissioni prime time. Nel biennio 2015-2016 sulla stampa 1622 titoli hanno parlato del fenomeno migratorio, ma solo un 23% ha dato visibilità ai contesti di provenienza e di transito. In TV, nei tg nazionali, in una mole di più di tremila notizie, alcune reti, come Mediaset, hanno deciso di cavalcare più di altre il link tra migrazione e sicurezza.

Il confronto analitico dei telegiornali pubblici europei vede come la Germania abbia declinato più di tutte il discorso dell’immigrazione legato al tema dell’accoglienza, in collegamento evidente con il ruolo dello stato tedesco in Europa. D’altro canto la narrazione italiana racconta il fenomeno rispetto all’impatto che ha sul nostro paese, concentrandosi sulla gestione e sulla politica interna collegata, lasciando invece sullo sfondo il contesto di provenienza e di transito dei migranti. Alcuni esempi danno uno spaccato dei tg europei che spesso dimenticano, o non ritengono notiziabile, il racconto dei contesti. Un esempio su tutti: nella strage di Lampedusa del 3 Ottobre 2013 pochi danno la notizia dell’origine Eritrea della maggior parte delle delle vittime. Così come nella massiccia copertura mediatica del fatto di cronaca del Caso di Fermo, delle 72 notizie dai tg di prima serata, solo 3 citano il contesto migratorio nigeriano della vittima.

Quando la parola passa a Zakaria Mohamed Ali, dell’Archivio Memorie Migranti, il panel si sposta dai dati al racconto delle persone protagoniste dei fenomeni. Il giornalista somalo infatti è egli stesso un migrante, arrivato in Italia nel 2008 a Lampedusa su un barcone, dopo aver fallito il primo tentativo di fuga in mare. Ma, per ribadire l’importanza dei dati di contesto, Zakaria decide di raccontare la sua storia partendo dalla fotografia della Somalia, una nazione che nella sua storia moderna vive una situazione drammatica, che ha origine negli anni ’60, si sviluppa in 22 anni di dittatura e guerra civile, per arrivare ai giorni nostri, in cui il paese soffre le piaghe della carestia, della pirateria e dei rifiuti tossici.

È in questo contesto di forte instabilità politica e sociale, esasperata dal pericolo costante del terrorismo di Al Qaida, che si sviluppa la storia di un migrante come lo sono tanti, ma anche un giornalista che, insieme ai suoi colleghi, viene costretto a lasciare il paese in 48 ore. È in quel primo viaggio verso l’ignoto che il suo barcone perde la rotta e rimane disperso in acque internazionali per tre giorni. Per poi essere ritrovato e riportato in Tunisia, in un carcere già pieno di uomini senza nome.

È lì che nasce l’esigenza di raccontare le loro storie, i nomi e le condizioni disumane a cui sono costretti i migranti, nelle carceri e nei centri di accoglienza. Un lavoro giornalistico che Zakaria ha costruito con difficoltà, entrando da rifugiato nel tessuto sociale italiano, studiando duramente per ottenere il tesserino della professione valido nel nostro Paese e arrivando a produrre il suo cortometraggio sul tema “To whom it my concern”.

Chiude il panel, continuando il filone delle storie, Marino Sinibaldi che apre dicendo: “Non credo ci siano notizie dimenticate, tutto è troppo illuminato e mostrato”. Secondo il direttore di Radio 3, infatti, il vero problema, rispetto all’informazione del fenomeno migratorio, non riguarderebbe tanto la quantità di notizie prodotte sul tema, ma la qualità del racconto che se ne fa.

E sul come presenta la scelta di Radio 3, che decide di raccontare i migranti con un audio documentario, “Mio fratello Zef“. In una serie di 5 puntate si sviluppa la storia di due ragazzi, una fotografa italiana, Viola, che conosce in un campo profughi pugliese Zef, un profugo kosovaro di 14 anni, lo adotta e lo porta a vivere con lei a Torino. Una storia di vita particolare perché sceglie di raccontare la relazione tra un emigrato e un’italiana, per mettere in luce come i primi non rappresentino un problema, ma una sfida alle nostre capacità di entrare in relazione con chi percepiamo come diverso.

Se c’è una notizia dimenticata oggi, secondo Sinibaldi, è quella dell’accoglienza: la storia dell’umanità è una storia di non accoglienza, e per la prima volta siamo protagonisti di fenomeni inediti, come quello delle persone che vengono accolte in Sicilia con bottiglie d’acqua potabile. Dare evidenza e racconto di questo è il meccanismo per “rompere la cornice” di una rappresentazione informativa che spesso dipinge la migrazione con le tinte dell’emergenza e della violenza terroristica.

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