Perugia 2015: nasce la Carta dell’Informazione Ambientale

Foto: Francesca Marchi
Foto: Francesca Marchi

Un documento diretto agli operatori del settore, che abbia però ben chiara in mente la centralità di chi legge, che sia sì “totem” istituzionale, capace di stabilire uno standard condiviso di correttezza e accuratezza scientifica, ma che possa fungere, al tempo stesso, da cassetta degli attrezzi” a disposizione di chi fruisce della notizia per valutarne la qualità. È questa, in sintesi, la filosofia alla base della prima bozza della Carta dell’Informazione Ambientale, presentata a Perugia dalla Federazione Italiana Media Ambientali (FIMA), per poi essere pubblicata ufficialmente il 5 giugno, in occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente. A quel punto, il dibattito verrà ulteriormente esteso, in quanto chiunque potrà contribuire sul sito della FIMA alla redazione della versione definitiva, che sarà presentata in occasione di Ecomondo, snodo cruciale per gli stakeholders (enti pubblici e privati, ONG, informazione) della green economy italiana e non.

Se ne è parlato mercoledì 15 aprile, primo giorno dell’International Journalism Festival, nel corso della panel discussion “Perugia 2015: l’informazione ambientale ora ha la sua Carta”.

La genesi orizzontale e partecipata del documento è la testimonianza più chiara del carattere inclusivo dell’iniziativa, che, non a caso, ha scelto di non fare riferimento soltanto alla nicchia del giornalismo ambientale in sé, quanto piuttosto al mondo dell’informazione in generale: sebbene, infatti, la carta stampata non brilli per attenzione alle tematiche ambientali, i problemi che affliggono il settore, in modalità non dissimili da quelle del giornalismo generalista, trascendono il medium cartaceo e si ripresentano pressoché invariate dal mondo social a quello dell’infotainment televisivo.

È in quest’ultimo caso, in particolar modo, per una serie di ragioni storiche e politiche, che si concentra un primo, grande problema: il culto del contraddittorio a ogni costo. “Immaginate se a un dibattito sulla lotta alla mafia bisognasse invitare Toto Riina per par condicio”, ironizza Marco Gisotti, direttore dell’agenzia di studi ambientali Green Factor, estremizzando una delle tendenze endemiche dell’informazione: quella di preferire le posizioni fuori dal coro e, in generale, l’eccezionalità, alla “storia come tante”. È con questa logica che si è spesso preferito tralasciare il racconto di piccoli ma rilevanti passi in avanti nel campo ambientale (ad esempio, l’allarme lanciato da Ban Ki-moon a dicembre) per concedere ampio spazio alle tesi di facile presa dei negazionisti del cambiamento climatico.
Non occorre però fraintendere lo scopo della Carta, puntualizza Sergio Ferraris, direttore di QualEnergia, con quello di porre un limite alla diversità di vedute all’interno del campo ambientale. L’obiettivo, piuttosto, è di fornire al giornalista di qualsiasi estrazione gli strumenti adeguati per affrontare le due peculiarità dell’informazione di settore: la trasversalità delle implicazioni (finanziarie, giudiziarie, politiche) e la necessità di un approccio scientifico, di un fondo di oggettività empirica fondamentale per permettere al lettore di “decodificare la qualità” di quanto gli viene presentato, di distinguere le voci autorevoli da quelle palesemente irrilevanti.

Proprio per questo motivo, il passo che potrebbe seguire la nascita della Carta, propone Gisotti, dovrebbe essere la creazione di un “marchio di qualità”, rilasciato a chi propone un’informazione ambientale accurata e verificata, che sappia districarsi tra opinioni sempre più polarizzate e, in particolar modo, isolarsi dagli interessi economici di parte, evitando qualsiasi sudditanza di fronte a quei poteri economici che hanno spesso foraggiato gli studiosi che mettevano in dubbio l’esistenza del cambiamento climatico. In un mondo in cui le tematiche ambientali diventano sempre più rilevanti da un punto di vista economico, con le grandi opere del futuro indirizzate alla mitigazione del dissesto idrogeologico, dell’inquinamento, se non alla sopravvivenza stessa della specie umana, appare quindi paradossale, osserva Gisotti, che all’ultimo summit sull’ambiente organizzato dall’Onu a New York non abbia partecipato nessun inviato delle principali testate italiane.

Nel complesso scenario di polarizzazione dello scontro tra ideologie, interessi economici e ipotesi scientifiche qual è quello verso cui ci stiamo dirigendo nei prossimi anni, occorre quindi una profonda presa di coscienza da parte dei giornalisti italiani in merito al loro rapporto con le tematiche scientifiche: occorrerà ripensare profondamente la formazione orgogliosamente generalista impartita nelle scuole e, in particolar modo, mettere da parte la tendenza a sfruttare la scienza come semplice traino per trattare argomenti di impatto immediato, come la carenza di fondi alla ricerca e la “fuga di cervelli”, o più semplicemente accumulare visite tramite clickbaiting.

Il vero problemadelle mille sfaccettature delle tematiche ambientali all’interno di questa “narrazione della complessità”, denuncia Mihaela Gavrila, ricercatrice presso l’Università La Sapienza di Roma, non sta nella copertura data ai grandi eventi di cronaca, delle catastrofi, quanto piuttosto nella capacità di raccontare la persistenza di queste all’interno della quotidianità. Significativo è il caso dei referendum del 2011: nel giorno successivo al successo del , “Porta a Porta”, sul primo canale della televisione pubblica, scelse, tra le polemiche, di occuparsi di cronaca nera, preferendo il caso di Sarah Scazzi al racconto di un importante evento di cronaca nazionale. Questo esempio rende evidente, secondo Gavrila, la necessità di un dibattito che non si limiti al giornalismo in sé, ma che si allarghi piuttosto agli altri operatori della comunicazione, a un mondo deregolamentato che spazia dal cinema all’intrattenimento televisivo, fino ad arrivare ai blog, che cavalca il labile confine tra informazione ed intrattenimento. Piaccia o no, è anche tramite questi strumenti che il tema ambientale deve (ri)trovare la sua centralità all’interno del dibattito pubblico. Se da un lato il riconoscimento della Carta da parte delle istituzioni tradizionali (Rai, Ordine dei Giornalisti, Governo) è fondamentale per garantirne l’autorevolezza, come accaduto in contesti diversi con la Carta di Treviso e la Carta dei doveri dell’informazione economica, lo scopo principale, sostiene Gavrila, è quello di puntare a un’adesione che sia la più ampia possibile e sia finalizzata alla costruzione di un linguaggio e di un modus operandi condiviso.

Il giornalista ambientale di oggi non può e non deve limitarsi soltanto a informare dei fatti, ma ha la fondamentale responsabilità di facilitare il dialogo tra ricercatori, politica e opinione pubblica, costruendo un linguaggio comprensibile a ciascuno degli attori e restituendo così alle tematiche ambientali il loro “diritto di cittadinanza nel mainstream”: è in questo arduo compito che la Carta dell’Informazione Ambientale potrà guidarlo.