Corre l’anno 1943 quando il maresciallo Badoglio proclama l’armistizio e l’Italia si spacca, costringendo i fedelissimi fascisti a rifugiarsi a Salò per tenere in vita un regime morente. L’Italia, prima tutta nera, viene abbandonata in un limbo politico-istituzionale, in cui scompare la verità assoluta del duce e a ognuno è affidato il compito di autodeterminarsi. Così nasce la Resistenza, da una scelta, che qualcuno ha maturato in esilio, qualcun altro lavorando in campagna o in fabbrica, qualcuno ancora tra le pareti di una parrocchia. Sebbene si trasformi in lotta aperta in quel settembre, la Resistenza nasce molto tempo prima, come necessità maturata lentamente sotto la pelle del paese, sangue nuovo pronto a sostituire il vecchio.
“Babbo adorato quest’ultimo figlio si allontana da te. […] Nel momento supremo tu sarai nel mio cuore, sul mio labbro. […] Possa il mio sangue servire per ricostruire l’unità italiana e rendere di nuovo la nostra terra stimata ed amata nel mondo intero[…]”. Al Teatro della Sapienza, l’attrice Claudia Alfonso presta la voce a Franco Balbis, capitano d’artiglieria che si unì alla causa partigiana, le cui parole, insieme a quelle di altri, sono raccolte da Aldo Cazzullo nel suo nuovo libro “Possa il mio sangue servire”, in uscita oggi 16 aprile nelle librerie. L’opera è una raccolta-racconto di tutte quelle grandi e silenziose storie che hanno creato la Resistenza, ingiustamente definita troppo spesso un fenomeno partigiano, “di sinistra”. Lungi dall’essere appannaggio di una singola fazione, la Resistenza ha al contrario visto l’incontro di persone dalle più disparate vedute e convinzioni, accomunate tutte però dal bisogno intimo e profondo di difendere la patria dai tedeschi e lottare per la democrazia.
“Possa il mio sangue servire” sono le parole di Balbis ma diventano il messaggio di tutti i personaggi descritti da Cazzullo, le cui paure e speranze sono sapientemente ricostruite grazie alle lettere riportate dal giornalista. “Quelle dei condannati a morte si somigliano un po’ tutte”, dice l’autore, perché in esse “si chiede sempre scusa alla famiglia per aver anteposto la patria”. Chiedono scusa, ma in realtà chiedono di essere compresi, chiedono che il sacrificio non venga vanificato, chiedono ai figli di continuare a studiare, di crescere e di capire. Come la lettera di Eusebio Giambone, alla figlia Gisella: “Cara Gisella, quando leggerai queste righe il tuo papà non sarà più. Il tuo papà che ti ha tanto amata malgrado i suoi bruschi modi e la sua grossa voce grossa voce che in verità non ti hai mai spaventata. Il tuo papà è stato condannato a morte per le sue idee di Giustizia e di Eguaglianza. Oggi sei troppo piccola per comprendere perfettamente queste cose, ma quando sarai più grande sarai orgogliosa di tuo padre e lo amerai ancora di più, se lo puoi, perché so già che lo ami tanto. […] Devi far coraggio alla mamma, curarla e scuoterla se è demoralizzata […]. Il tuo papà che ti ha amata immensamente ti abbraccia e il suo pensiero sarà fino alla fine per te e per mamma”.
Gisella Giambone, conservando il fuoco dell’idealismo del padre, diventerà deputata del partito comunista eletta a Torino.
Proprio le donne sono altre protagoniste della Resistenza: tra queste si ricorda Cleonice Tomassetti, che prima di morire insieme ad altri 42 uomini, disse ai suoi futuri esecutori che avrebbero potuto annientarla e umiliarla nel corpo, ma che non l’avrebbero mai vinta nello spirito; o ancora Irma Bandiera che pur di non confessare ai nemici dove fossero i suoi compagni si lasciò cavare gli occhi, così da pagare con l’impossibilità di rivedere i figli il suo silenzio.
Sono storie di coraggio e passione, dove l’ideale e l’amore per l’umanità libera vince la paura del sopruso. Ancora una volta, queste storie non hanno partito politico, ma cambiano il loro volto a seconda dei luoghi e delle situazioni; a volte hanno il volto di suore come Suor Enrichetta Alfieri, ricordata con commozione da Indro Montanelli e Mike Bongiorno perché li aiutò a incontrare clandestinamente i propri familiari durante il periodo di prigionia, a volte quello di preti come Don Ferrante Bagiardi che scelse di morire con i propri fedeli per accompagnarli “davanti al Signore”, altre volte ancora quello di carabinieri e uomini delle forze dell’ordine che combatterono per fedeltà a un Re che per primo li tradì con la fuga.
La Resistenza si dimostra così un momento intenso ma anche complesso della storia italiana, non privo di parentesi buie, come quella di Porzûs, in cui la Brigata Osoppo – di orientamento cattolico – venne massacrata da un gruppo di partigiani appartenenti al partito comunista; questa è una di quelle tante contraddizioni che ogni guerra fratricida porta con sé.
Un’altra ad esempio è quella di avere compassione per un nemico che al momento opportuno non ne avrà alcuna per te, come avvenuto al giovane e brillante ebreo Emanuele Artom che aveva risparmiato la vita ad un militante fascista, salvo poi essere segnalato e fatto imprigionare dallo stesso: al giovane uomo che aveva dimostrato pietà non fu riservata pietà alcuna; alla tortura e all’umiliazione seguì la fucilazione, e il suo corpo non venne mai ritrovato.
Destino meno infelice ha invece la storia dell’incontro tra Gianni Rodari e Mario Siroli, strenuo sostenitore del regime fascista: quest’ultimo il 25 aprile 1945, giorno della Liberazione, uscì in strada pronto a fuggire da Milano, ma venne fermato da un gruppo di partigiani tra i quali era presente Gianni Rodari; fu il famoso scrittore a salvarlo dalla fucilazione fingendo di non riconoscerlo: gli firmò il lasciapassare e lo lasciò andare via.
Ma perché Cazzullo decide di raccontare tutte queste storie in un libro? Perché sono mescolati nelle stesse pagine nomi di personaggi noti e comuni? Perché sono tutte storie di (stra)ordinario coraggio? Anche. Tutto ciò viene raccontato soprattutto per non far morire due volte chi ha dato il proprio sangue per l’ideale di un’Italia libera, un’Italia che imparasse a essere più giusta. “Possa il mio sangue servire”: per servire quel sangue deve essere ricordato, perché, come spiega l’autore in chiusura, la memoria diventa sempre più un dovere quando le voci delle testimonianze si spengono nella vecchiaia. Sarà la memoria a tenere in vita gli ideali di chi la vita non l’ha più e, se ci riesce, a trasmetterli per continuare a investirli nel nostro tempo.