Quando la Grande Guerra si rivive online

Foto: Maddalena Biagiotti

Perché non ho sparato? Era giusto, è giusto che spari. È la guerra, sono i nemici, devo ucciderli. Perché non l’ho fatto? Che cosa è successo? Pietà per lui, per il suo riso gioioso, per la sua giovinezza, per il suo amore per la vita? Perché ho abbassato il fucile?

A Palazzo Sorbelli sono tutti in silenzio e ascoltano le parole scritte da Antonio De Maria, vedetta sul Piave, a sud della confluenza con il Sile nell’aprile del 1918. La sua e un altro migliaio di testimonianze di giovani soldati sono raccolte sul sito La Grande Guerra 1914-1918, curato da Pier Vittorio Buffa, giornalista del gruppo l’Espresso, e Nicola Maranesi, coordinatore del progetto presso la Fondazione Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano. Le hanno lette e selezionate “per fare un’operazione che di queste dimensioni – afferma Buffa – non è mai stata fatta nel mondo”. Diari, lettere e cartoline di questi ragazzi dai 17 anni in su sono stati riordinati, e geolocalizzati. Scorrendo il sito è possibile ritrovare su una mappa i luoghi in cui le memorie sono state scritte, cercare categorie simili, parole chiave, le emozioni che compaiono nei racconti.

Emozioni è la parola chiave: si è cercato di compiere un’operazione non puramente storica, ma anche giornalistica e narrativa. È possibile ricercare testimonianze cercando parole come paura, fame, sete. Non solo un archivio, ma una storia che ci segue e si plasma secondo le letture precedenti, come spiega Federico Badaloni, curatore della struttura della piattaforma online. È un modo per dare vita a parole che sono già pubblicamente disponibili presso l’Archivio di Pieve Santo Stefano, ma che ora possono essere vissute da un pubblico vastissimo.

Nicola Maranesi è da una decina di anni che conosce ormai queste testimonianze e tutte le altre settemila che l’Archivio ospita. Oggi queste sono potute uscire dalle sue mura e diventare persino parte di trasmissioni radiofoniche. E l’iniziativa continuerà pubblicando a partire dal 5 giugno con l’Espresso una selezione cartacea delle testimonianze, e lì l’esperienza sarà ancora differente: non un percorso orizzontale ma verticale, dove la scelta dell’ordine non è compiuta dal lettore ma dai curatori.

E il triestino redeva, e non sapiammo perché redeva e ni pareva che era pazzo, e poi ni ha detto perché rideva e ha detto che forse ci sono 2 Patre Eterne, uno è in Italia e uno ene in Austria, e non ci capeva niennte, e rideva e fece redere a tutte, che il prete si aveva compiato li coglione e ni ha detto: – Che ci l’ha portato a questo che va contra la relicione? Portatolo fuore della messa!

Stavolta il racconto è di Vincenzo Rabito, con il suo “poco d’italiano che aveva imparato al fronte mescolato al dialetto siciliano”, spiega Stefano Pivato, docente di Storia Contemporanea presso l’Università degli studi di Urbino. Secondo il professore queste memorie sono dei veri e propri archivi dell’io, raccontano una storia da ricordare: quello dell’incontro con la modernità, che per molti giovani italiani del Sud avviene proprio nella Grande Guerra. Le voci che allora leggiamo sono quelle di coloro che hanno vissuto il trauma della modernità. Racconti frutto di questa incomprensione che oggi finiscono online: “L’importanza di questa operazione – sottolinea il professore – è di riportare alla memoria la prima guerra mondiale”. Un’occasione per illuminare uno scontro di cui oggi, in particolare le nuove generazioni, non si ha più molta memoria. E se immaginare quei giorni terribili dovesse risultare difficile, le parole di quei giovani correranno in soccorso, come il finale lucido e insopportabile di quel racconto di Rabito:

E poi lo hanno portato al campo di concentramento, ma era uno che diceva la veretà.