Quanto pesa la Silicon Valley sul giornalismo (e non solo)

Mathew Ingram, (Fortune Magazine, ex Gigaom) ci va giù chiaro: “Non abbiamo più controllo su come il giornalismo viene distribuito. Ora non controlli più niente: crei il giornalismo e lo butti al vento”. E chi dirige il vento? Piattaforme immense e apparentemente inevitabili come Facebook, per esempio, che ha potenziato ulteriormente la sua contiguità con ciò che esce dalle redazioni, grazie agli Instant Articles. “Le media company non falliscono per questo”, aggiunge Ingram, “ma è sicuramente uno dei fattori: dobbiamo parlarne”.

Un fattore enorme di cui le testate d’oltreoceano sono sicuramente più consapevoli, come ad esempio Buzzfeed. E proprio da Buzzfeed Canada interviene Craig Silverman, che ammette di aver fatto, come una delle prime cose arrivato a direzione della testata online, non tanto le classiche attività di Pr, ma delle riunioni con Facebook e Google, così da comprendere come essere il più efficace (e virale) possibile su quelle piattaforme. Non è un caso che Buzzfeed negli ultimi mesi abbia dedicato molti sforzi all’elaborazione di materiale adatto ad essere consultato, condiviso e commentato anche direttamente sulle e dalle piattaforme, “senza cercare click per il sito”. La strategia di Buzzfeed è – si intende dalle parole di Silverman – proprio quella di “abbracciare” questa enorme capacità e raggiungibilità delle piattaforme.

Ed è qui che è importante riassumere i concetti espressi da Chinnappa, direttore di Strategic Relations, News and Publishers per Google Europe. E cioè che Big G si è data la mission di essere una piattaforma aperta, che si adatta alle diverse organizzazioni e testate, in un ecosistema delle news dove gli utenti – che “saranno un miliardo tra pochissimo”, annuncia Trushar Barot, mobile editor BBC World Service – hanno curiosità, interessi e abitudini diverse, ma anche un controllo molto più elevato di ciò che vogliono dalla loro esperienza in rete. “We’re part of this”, ci tiene a sottolineare Chinnappa.

Una domanda dal pubblico, accolta dalla moderatrice Emily Bell, direttrice e fondatrice del Tow Center for Digital Journalism, centra in pieno uno dei key point della discussione sul rapporto tra i giganti della Silicon Valley e il giornalismo. Essa riguarda le perdite che il Guardian ha dovuto affrontare nello scorso anno: ben 8 milioni di sterline di pubblicità, passati tutti a Google e Facebook. Chinnappa si difende parlando di un’audience cresciuta incomparabilmente rispetto al passato grazie all’utilizzo delle piattaforme, ma sostiene anche che i news publisher non possono pensare di prendere un business model del passato e farlo funzionare nel futuro senza colpo ferire. Ingram, pur concorde, tuttavia avverte: “Non dico che Facebook e Google siano cattivi e che vogliano uccidere il giornalismo di proposito, ma che probabilmente potrebbero farlo per sbaglio!”.

La questione fondamentale sta nel controllo che le piattaforme hanno non solo ormai dei ricavi dei media stessi, ma anche della direzione verso cui va la produzione del contenuto giornalistico. Facebook, per esempio, puntando moltissimo sulla dimensione video, sta di fatto condizionando le testate a spostare risorse su quel tipo di produzione piuttosto che su un altro. Stessa cosa vale per l’importanza assunta dal branded content, a metà tra giornalismo e pubblicità, e fa riflettere l’innegabile posizione dominante di Google nel controllo delle funzioni di ricerca. La domanda di Andrea Signorelli dal pubblico è significativa e lancia allo stesso tempo un velo d’inquietudine sul rapporto tra Silicon Valley e giornalismo: “E se Facebook svantaggiasse i contenuti prodotti chi non vuole arrendersi gli Instant Articles?”.

@nicoloscarano