Roberto Saviano: il coraggio di raccontare la complessità

Al Teatro Morlacchi di Perugia Roberto Saviano cattura il pubblico per un’ora, trasportandolo, con il suo talento di storyteller e la sua voglia di condivisione, in un viaggio narrativo all’interno della comunicazione. Nelle sue ‘storie che non si devono raccontare‘ crea un percorso che unisce Trump, i ragazzini di Scampia, l’ISIS, le banlieue parigine, le periferie americane e di tutto il mondo, Kim Kardashian, la Brexit.

Il filo conduttore è la mancanza di tempo per comprendere il contenuto di questioni complesse. La nostra realtà è sempre più veloce e superficiale. Se si prende il caso delle recenti elezioni americane, Saviano ritiene che ci siano stati due parametri diversi nel giudicare i candidati. Mentre a Trump non veniva davvero richiesto di essere coerente nelle dichiarazioni e nei fatti, ad Hillary Clinton non veniva concesso un errore o una contraddizione perché subito l’elettorato si disamorava. La parte di elettorato cosiddetto populista, continua Saviano,  sa che il candidato mente, ma non importa perché ha perso la fiducia nella parte avversaria, che rappresenta l’establishment e che ha mentito sulla ripresa economica, su come stanno davvero le cose per queste persone. Allora votano dall’altra parte.

Ormai quando l’interlocutore è educato, si ha quasi la percezione che sia un po’ falso, racconta l’autore napoletano, mentre chi usa un linguaggio forte passa per essere autentico. Ciò dimostra che attualmente non conta il contenuto, ma il rumore. Il problema è che  “il contenuto prende tempo, ma il tempo è nemico della viralità”. “Se arriva un post divertente, bum!, lo condivido. Se arriva un post serio ho bisogno di pensarci almeno un attimo. È il contrario del business contemporaneo, perché ora conta solo la pancia”. Saviano propone l’esempio del post più condiviso durante la campagna elettorale americana, ossia Papa Francesco che appoggia Trump. Naturalmente era falso, ma non importa. Un altro esempio è la lettura: il libro è tempo, conoscenza, non si può vedere in un attimo come un video. “Ora non è importante quello che dici e fai, ma che ‘arrivi’ alle persone. Il contenuto  e la complessità stanno morendo sempre di più”. È un problema che si inserisce anche nella fiducia delle persone nelle notizie e infatti si è rotto anche il rapporto personale tra giornalisti e lettori.

Saviano prosegue con le sue storie. Sono storie di vuoto pneumatico e di violenza, di gioventù bruciate e terminate prima dei vent’anni, dove tutto ciò che conta è il denaro, la fama e vivere al massimo prima della fine.

Si sente, nella voce dello scrittore, l’urgenza di raccontare ciò che sta avvenendo ai ragazzini nelle periferie, da Scampia alle banlieue francesi alle periferie dei ragazzini afroamericani e latini di Chicago, e così di tutto il mondo. “Le periferie sono l’inizio delle città e non la fine, dove le cose sono in evoluzione e tutto è più veloce”. Il ragionamento dei ragazzini di Scampia è che puoi scegliere come morire, ma non come vivere. Fanno i soldi con le estorsioni ai commercianti minacciando di riempirli di recensioni negative su Trip Advisor e con la droga. “Con 5000 euro investiti in cocaina, dopo un anno hanno guadagnato un milione di euro. Perciò se la giocano e pensano che chi conta muore presto perché ha vissuto al massimo”. Muoiono prima di diventare adulti o si prendono venticinque anni di carcere. L’alternativa di lavori onesti, ma umili e pagati poco, come nel caso di molti dei loro genitori, fa loro schifo. Credono solo nel ‘cash’ perché è ciò che manca nelle loro realtà. A chi dice che c’è altro nella vita, rispondo: “Chi parla così è perché i soldi ce li ha”. Partendo da questo punto di vista, diventa difficile relazionarsi con loro. Sono come lo champagne, dice Saviano: una volta tolto il tappo, non si può più rimettere. Lo champagne esce “tutto fuori subito”, come loro. Ancora una volta tutto è veloce, non c’è contenuto. Spesso i loro genitori, per non vederli morti, li fanno arrestare. “Di questo sentirete parlare poco o niente”, ribadisce Saviano.

Questi ragazzi si ispirano persino alla simbologia dell’ISIS, utilizzando le bandiere nere e le barbe, sebbene non si interessino minimamente dell’Islam. Eppure c’è un legame perché, nel loro immaginario, i combattenti dell’ISIS muoiono per fare quello che vogliono.  “Corrado Alvaro, un grande scrittore, diceva che la paura è il capitale che ti spendi quando non hai altre possibilità”, cita Saviano.

“Ciò che bisognerebbe raccontare è che tutti i terroristi che hanno fatto un attentato in Europa avevano un passato da criminali: erano stati spacciatori o erano già stati in galera”, sottolinea Saviano, “e non è un caso perché se cresci così, abitui già te stesso e la tua famiglia alla violenza e alla possibilità di venire ammazzato”. In tal senso, i terroristi non sono tanto differenti dalle realtà della criminalità organizzata.  “Il terrorismo, che ad alcuni sembra  arrivato dal nulla a distruggere l’Europa, in realtà è già a casa nostra”. Inoltre, in Europa, ogni Stato ha la sua isola di traffico sommerso: “La Francia ha il Lussemburgo, l’Italia San Marino, la Spagna l’Andorra, la Germania il Liechtestein, tutta l’Europa ha la Svizzera, tutto il mondo ha Londra”. Secondo Saviano, anche il Brexit è stato sostenuto da gruppi che vogliono che il Regno Unito diventi territorio off-shore senza necessità di motivare l’origine del denaro. “E magari chi ha votato Brexit non lo sa nemmeno. Perchè l’argomento non è stato trattato? Perché è complicato.  Come si fa a spiegare il riciclaggio in un post? C’è bisogno di ore, di minuti per capire e allora si preferisce restare in superficie”.

Dunque raccontare queste storie non è facile. “La percezione tipicamente populista di alcuni è che  se si raccontare le ferite, si diffonde il male perché se si copre la ferita, questa non c’è. E  se non c’è, non porta danno. Invece è vero il contrario. “Se non si vede, non si cura e si ammala tutto. E tutto implode”. Così per la criminalità organizzata.”Siamo il Paese che ha pagato il prezzo più alto. Non dovremmo negare le nostre contraddizioni perché abbiamo anche la migliore giurisprudenza sulla criminalità organizzata del pianeta. Va detto a chi ci fa le battutte tipo ‘italiano = mafioso’.”

“Lo racconto perché stare sui contenuti ci salva. Nessun partito o voto ci salverà”. Perché i politici italiani non vanno nelle periferie?, si chiede Saviano. Invece, “chi ha il coraggio della complessità ha ancora la possibilità di tenere in mano la sua dignità”, ma ci vuole ancora la voglia individuale e collettiva di poter dare tempo all’approfondimento e alla conoscenza. Cosa ci può salvare allora? “Quella meravigliosa attitudine che è l’empatia: sentire dentro di sé il dolore e la felicità dell’altro”. Così come fa  il pescatore con la terza elementare a Lampedusa che, a fronte delle nuove direttive degli esperti che consigliano di non salvare i migranti, dice:”Io gente a mare non la lascio”. “L’empatia è l’unica forma di cittadinanza universale umana che vale ancora la pena propagandare.”, afferma Saviano.

Saviano conclude e saluta il pubblico di Perugia citando di nuovo Corrado Alvaro: “La più grande disperazione per un Paese è credere che vivere onestamente sia inutile-  se impediamo che questo avvenga in noi, già stiamo cambiando”.