Ieri sera, in una gremita Sala Dei Notari, è stato presentato Sea Sorrow – Il dolore del mare, il documentario che segna il debutto alla regia dell’ attrice inglese, vincitrice del Premio Oscar, Vanessa Redgrave, con la partecipazione di suo figlio, il regista Carlo Nero, in qualità di produttore.
Sea Sorrow è un racconto sulla storia presente e passata dei rifugiati in Europa. Un tentativo di ricordarci i doveri di fronte ai migranti in fuga. Il dramma, con un’attenzione particolare ai bambini, viene raccontato attraverso le parole di Shakespeare (“Sea sorrow”, mare di dolore è una citazione da La Tempesta).
La Redgrave comincia dalla sua storia personale di bambina di due anni sfollata da Londra all’inizio della seconda guerra mondiale, per proseguire poi con il racconto della sua esperienza come volontaria per i rifugiati ungheresi e conclude con il suo ritorno in Libano, dove si è recata per visitare i bambini palestinesi in una scuola materna di un campo profughi.
Ma quella della Redgrave non è la sola esperienza personale inserita all’interno del docu – film. Il film include testimonianze di sopravvissuti agli attuali conflitti e alle persecuzioni in Medio Oriente e in Africa.
Anche il deputato laburista Lord Alf Dubs racconta della sua fuga dall’occupazione nazista e di come, in seguito, abbia deciso di dedicarsi ad aiutare i bambini rifugiati a ottenere legittima protezione nel Regno Unito. Ancora, l’esperienza di Sir Peter Sutherland, ex consulente per la protezione internazionale dei rifugiati dell’ONU, spiega in modo semplice ma efficace il motivo per cui i governi europei dovrebbero rispettare le convenzioni in materia di asilo politico.
Tante anche le interpretazioni di attori come Ralph Fiennes, Emma Thompson e Simon Coates, in particolare l’attrice Juliet Stevenson, dopo avere trascorso 9 mesi a lavorare con i bambini arrivati a Calais, è ripresa mentra parla in una manifestazione nella piazza Parliament Square.
Il film – girato tra Grecia, Libano, Italia, Calais e i Twickenham Studios di Londra – non è solo un insieme di immagini che rivelano la misera condizione dei migranti nei centri di accoglienza, è anche un forma di appello, lanciato da vari politici e attivisti, che hanno scelto di aiutare i tanti bambini arrivati in Europa, sprovvisti di una qualunque forma di tutela. In questo modo, si vuole ricordare agli spettatori che gli stessi europei hanno a loro volta vissuto una situazione analoga, fuggendo da paesi lacerati dalle persecuzioni naziste. Un appello di denuncia contro la disumanità dei campi profughi e contro la mancanza di volontà dei governanti di affrontare questa emergenza in tempi rapidi.
Al termine della proiezione, la regista ha dialogato con la giornalista di Al Jazeera Barbara Serra e con la portavoce UNHCR per il Sud Europa Carlotta Sami. La Serra pone fin da subito l’accento sull’indignazione della regista che traspare dalle immagini del suo lavoro, riconducibile anche alla reazione al fenomeno di alcuni Stati, in particolare del Regno Unito.
La Redgrave si è rivolta a Carlotta Sami in cerca di risposte, essendo il suo lavoro quello di capire cosa spinga queste persone a fuggire. La frustrazione nasce quando si cerca di spiegare la situazione, quando si sa che basterebbe poco, ma la cornice dentro cui si opera altera completamente il messaggio. In Italia, in particolare, quando si cerca di parlare di rifugiati e migranti, c’è sempre un titolo sotto con scritto: “Emergenza migranti”. L’emergenza però non è nostra e non è reale. L’Italia non si trova in una situazione così critica. Si tratta di un problema di solidarietà, e forse “sarebbe ora che i media si concentrassero maggiormente sullo spiegare perché c’è questa emergenza, questa facilità nel mettere da parte la nostra umanità. Ci stanno vendendo qualcosa che rende facile mettere da parte la nostra umanità, senza dirci quali sono i pericoli di tutto questo”.
Per Carlo Nero il problema è l’apatia e l’indifferenza, il vero pericolo è che la gente possa diventare anestetizzata nel vedere queste immagini, invece di immedesimarsi. Il film è un tentativo di calarsi nelle vite dei personaggi e se ciò è avvenuto anche solo per qualche spettatore, allora ne è valsa la pena. Il regista ha sottolineato come sia importante pensare di salvare anche una sola vita per volta, nonostante siano tante le persone in difficoltà. Ognuno, nel suo piccolo, può agire per cambiare la situazione.
Serra ha voluto sottolineare come la bellezza del film risieda in particolare nella sua lunghezza, che ha permesso di entrare a fondo nei dettagli, cosa che invece molti giornalisti non sono liberi di fare a causa delle restrizioni imposte dai telegiornali e dai programmi di informazione, dove si hanno solo pochi minuti a disposizione. Nero ha aggiunto che è invece importante dare maggior spazio e, soprattutto voce, alle esperienze di coloro che sono coinvolti in questa situazione, per fare meglio comprendere la realtà della storia per cambiare qualcosa.