‘La scrittura o la vita. Dieci incontri dopo la letteratura’ è il titolo del primo libro scritto dalla giornalista Annalena Benini presentato al Festival del Giornalismo di Perugia, un libro nato per raccontare la vita di chi ha la passione della scrittura. Insieme a lei sul palco, Serena Danna vice direttrice digital di Vanity Fair che ha presentato Annalena come colei che, con il suo modo di fare giornalismo, ha introdotto in Italia un tipo di scrittura volta a soffermarsi sul mondo interiore per indagare le emozioni e il sentire delle persone rendendolo godibile, leggero e denso.
D’altronde il giornalismo culturale, come spiega bene Danna, è la capacità di spingersi nella profondità, abbandonando la certezza della cronaca e la schiavitù della citazione per guardare le cose da un punto di vista nuovo. Il libro è quindi la rielaborazione di interviste che scavano dentro alla storia più intima e segreta di dieci autori, fonte di forte curiosità per l’autrice: Sandro Veronesi, Michele Mari, Valeria Parrella, Domenico Starnone, Francesco Piccolo, Patrizia Cavalli, Edoardo Albinati, Melania Mazzucco, Alessandro Piperno e Walter Siti. Il motivo dell’interesse è che, secondo l’autrice, sono tra i più solidi e interessanti del momento e tutti hanno consacrato la loro vita alla scrittura. Ciò che infatti accomuna questi scrittori è il grande senso del dovere e della fatica, una fatica gioiosa alleggerita dall’amore per la scrittura e dall’entusiasmo di una passione che tormenta ma rende felici, dalla quale non ci si può e non ci si vuole liberare. Ed è proprio a loro che ha voluto chiedere di raccontare cosa significa avere un’ossessione che divora la vita e della vita si nutre, quando si sono sentiti scrittori, come lavorano e vivono, quali sono gli aspetti più personali e quando e con che metodo si decide di abbandonarsi alla scrittura.
A questi autori, che hanno accettato un destino non sempre facile, è stato chiesto se con una vocazione così ostinata si è costretti a fare perennemente i conti con la solitudine o se, invece, questa concentrazione costante la si può far coincidere con una vita parallela, fatta di affetti, famiglia e figli.
Nel libro, inoltre, si affronta anche il tema della possibilità del fallimento che, come spiega Annalena, in modi diversi e in forme diverse riguarda tutti coloro che scrivono. Dall’articolo respinto, al libro ignorato o non pubblicato, capita spesso che la storia che sembra essere così importante, non interessi nessuno. A questo si può aggiungere il fallimento del non riuscire a diventare il giornalista o lo scrittore che si vorrebbe diventare. Ma, anche dopo aver condotto queste interviste, l’autrice afferma di credere che “il fallimento faccia parte del cammino per diventare chi si è, e credo che l’opera e la vita di uno scrittore si nutrano anche delle pagine non pubblicate, delle pagine scritte e poi buttate, dei libri stroncati, dei libri ignorati così come la nostra strada di giornalisti si nutre anche di delusioni, fallimenti, incomprensioni e rinunce.” La giornalista Serena Denna porta poi all’attenzione una parte del libro, dedicata al racconto su Starnone, in cui lui stesso, per rispondere alla domanda su cosa possa essere considerato tremendo per uno scrittore, utilizza l’esempio perturbante di Verga che spiega come spesso dietro al capolavoro possa annidarsi il declino. Verga infatti, dopo aver scritto i Malavoglia e Mastro Don Gesualdo, si è fermato nonostante i Malavoglia dovessero essere soltanto l’inizio di una serie di libri. “E allora io nella mia ignoranza – prosegue Annalena- pensavo che fosse morto da lì a poco e invece aveva vissuto altri 40 anni senza più riuscire a scrivere.” Verga smette di essere Verga in vita, un’immagine di una potenza fortissima se si pensa ad esempio allo spreco di lavoro che dopo un giorno non esiste più, come accade negli articoli giornalistici dove, spiega l’autrice “ancora di più c’è il rischio del non essere stati letti e del non poter proseguire per quella strada.” Nel libro allora Starnone afferma che la sua ostinazione e il suo modo di evitare di guardare in quel baratro, è continuare a scrivere senza smettere mai.
Ovviamente entrambe le giornaliste sono convinte che la pubblicazione sia fondamentale per fare la differenza nella vita di uno scrittore, così come è forte la necessità di essere letti, riconosciuti e apprezzati. E proprio a questo proposito Serena Danna incalza chiedendo se la pubblicazione sia ancora una discriminante identitaria per chi fa questo mestiere. Annalisa allora racconta la sua esperienza spiegando come pubblicare un libro sia del tutto diverso dal pubblicare un articolo quotidianamente e lascia un’emozione completamente nuova rispetto a quella di essere riconosciuta come giornalista. “Avere pubblicato ti butta da un’altra parte”, spiega e nonostante esiste la forte libertà di essere ignorati si è comunque contraddistinti quando li si fa perché il libro è ancora oggi qualcosa di diverso da tutto il resto.
Quando poi Serena chiede se esistono gli stessi mostri della scrittura anche nel giornalismo, la Benini risponde un sicuro sì, semplicemente perché il mostro alberga in chi usa le parole, siano esse volte a susseguirsi tra le pagine di un libro o a redigere articoli di giornali cartacei o online per le varie testate e continua: “Credo davvero che la vocazione riguardi una passione e naturalmente non ci sono gerarchie di passione. Un giornalista ha la possibilità di fare cose molto grandi e molto importanti […] e davvero credo tantissimo che il lavoro del giornalista debba essere essere pieno di cura per le parole e per la sostanza”. Anche se più immediato, veloce, Annalena crede che se fatto con passione, rigore della lingua e del non ammiccamento, anche il giornalismo sia fondamentale alla creazione della propria voce. Scopo quest’ultimo cui, secondo l’autrice, ogni scrittore e giornalista deve sempre tendere.
Un libro, quello di Annalena Benini, alla continua scoperta di cose nuove, che vuole puntare al cuore di chi sa ascoltare, raccontando i momenti felici e tristi, le gioie e i turbamenti di chi ha il grande dono di sapersi prendere cura delle parole.