
Certo, ai tempi di Robert Capa ci si andava da soli in trincea a fotografare la guerra civile spagnola. Per naturale misantropia del reporter, forse. Oppure per quel momento solitario della creazione che è tipico di tutti gli artisti, fotografi compresi. Invece il Festival internazionale del giornalismo – che con le controtendenze ci sa fare – aiuta a sfatare il luogo comune del fotografo lavoratore solitario. E lo fa attraverso le immagini dei tre più interessanti collettivi fotografici italiani: TerraProject, Cesura e Riverboom. Rocco Rorandelli e Michele Borzoni, co-fondatori di TerraProject, raccontano l’esperienza di una fotografia comunitaria: dalla scelta dei progetti fino allo scatto, il loro percorso è condiviso.
Un lavoro fotografico collettivo cosa aggiunge a un lavoro individuale?
Rorandelli: A livello progettuale, dal momento che ognuno di noi ha un punto di vista diverso sull’attualità e sulle dinamiche globali, il confronto non può che essere molto stimolante. Il lavoro collettivo riguarda l’intero processo di costruzione della storia. Prima si lavora sulla raccolta delle informazioni, quindi il timone da dare al progetto, poi su quale tipo di fotografia possa essere adatta ai fini del racconto. Come nel caso del progetto ‘Land Inc. The global fight for land control’, per il quale abbiamo speso insieme molto tempo per capire quali foto fossero utilizzabili, quali invece troppo didascaliche o superflue.
Borzoni: Rispetto ad altri collettivi, decidiamo sin dall’inizio quale deve essere la ricerca visiva di tutti i fotografi. In questo modo, anche se in parte è annientata l’autorialità dei singoli, si ottiene un lavoro finale molto coeso. Come se venisse fuori un unico autore collettivo.
Qual è il futuro della fotografia di reportage? È destinata a un’integrazione con altri mezzi di comunicazione?
Borzoni: Io penso che la fotografia rimarrà fotografia. Negli ultimi anni ci sono stati diversi tentativi di inquinarla, anche in senso positivo, ad esempio con il video o con l’audio, cercando di creare prodotti multimediali. Ma penso che la natura della fotografia, la sua anima, sia quella di essere ferma, muta. E credo che rimarrà così, manterrà la sua specificità.
Rorandelli: Nei nostri progetti oscilliamo tra la produzione di lavori estremamente multimediali e lo scatto in pellicola, che si colloca quasi agli antipodi. Certo se una fotografia è in rete, la complementarità con il video rimane essenziale. Ma, allo stesso tempo, rimane anche la necessità di fare una mostra, un libro fotografico. Cambieranno gli strumenti con i quali la fotografia verrà colta e divulgata. E questo influenzerà anche il linguaggio, ma credo che i settori si manterranno. Da una parte una fotografia autoriale e di ricerca approfondita, dall’altra una fotografia immediata che finisce in rete. Il panorama si amplierà ma sempre mantenendo le peculiarità di ogni suo ambito.
“4” è un progetto di ricerca collettiva di TerraProject e Wu Ming 2. Come nasce la collaborazione con il collettivo di scrittori?
Borzoni: Wu Ming 2 ha un modo di lavorare che abbiamo sposato anche noi. I romanzi hanno un autore collettivo, come la nostra ricerca fotografica. Una sola storia da raccontare, sviluppata insieme e firmata con un nome comune. Abbiamo contattato il collettivo perchè abbiamo lo stesso approccio al racconto. Il libro “4” nasce da un progetto per l’editoria: volevamo dargli un testo che non fosse giornalistico. Wu Ming 2 ha scritto queste storie creando un secondo livello di lettura.
Marta Facchini @FacchiniMarta