Trackography: a chi interessa cosa facciamo su Internet?

Claudio Agosti, co-fondatore del progetto Globaleaks per la comunicazione sicura e riservata tra whistleblower e giornalisti, e presidente del Centro Hermes per i diritti digitali, presenta al Festival del Giornalismo il recente progetto Trackography, una piattaforma online che ci aiuta a capire dove vanno a finire le informazioni che produciamo quando navighiamo su qualsiasi sito internet.

Il panel comincia così: sullo schermo compaiono due homepage del Corriere della Sera. La prima, a sinistra, corredata di spot, ads – tecnicamente “comunicazioni da terze parti” – aggiunte alle parole e alle immagini che sempre troviamo su una testata online. La seconda, a destra, libera da qualsiasi pubblicità o comunicazione aggiuntiva. Una dimostrazione di come il dirottamento dei nostri dati di navigazione cambia una semplice prima pagina di un media nazionale. “Internet ci permette di accedere a una enorme quantità di contenuti gratis grazie al suo peccato originale”, dice Agosti riferendosi alla celebre considerazione di Ethan Zuckerman che esplicita la componente fortemente business-oriented della rete di oggi. In breve: nessuno ti regala nulla, neanche sul web, dove spesso senza accorgercene doniamo vere e proprie parti, spesso sensibili, di noi stessi.

Il caso NSA, svelato dal più celebre dei whistleblower, Edward Snowden, ha rivelato che la sorveglianza di massa è una vera e propria violazione dei diritti umani. Cosa diversa vale per i siti che raccolgono i dati di traffico dei loro visitatori: questi ultimi non sono identificabili come “dati sensibili” (nome, data di nascita, indirizzo, contatti e così via), ma come semplici informazioni prodotte da un’interazione virtuale tra user e distributore. Il problema posto da Claudio Agosti e Trackography, tuttavia, è che la definizione di dati sensibili è un po’ datata, e che si deve invece arrivare a un compromesso legale e pratico grazie al quale anche questi dati terzi siano riconosciuti come fondamentali. Il relatore li lega a dei cosiddetti society rights che si deve incominciare a considerare e rispettare. Prima di parlare dell’azione di Trackography a riguardo, Agosti ha illustrato brevemente come parti terze – come ad esempio un advertiser – possono analizzare ciò che gli utenti fanno sulla rete.

Quando accediamo a un qualsiasi sito, specialmente quelli di informazione online nel caso analizzato da Trackography, generiamo una traceroute del nostro percorso: viene registrato da dove veniamo, se finiamo sulla homepage o su un’altra particolare pagina, quanto restiamo su quella pagina, dove andiamo dopo. Questi dati vengono registrati dal provider a cui stiamo accedendo e passati direttamente all’organizzazione – il motore di ricerca, l’advertising agency, il social network – con cui il sito visitato è connesso, grazie a un precedente accordo commerciale. È possibile, inoltre, grazie a particolari analisi dei cookies (i dati generati dall’interazione user-sito), individuare per ogni utente il broswer che sta utilizzando, il contenuto della pagina che sta consultando, la sua posizione geografica e anche il profilo vero e proprio – grazie a collegamenti indiretti con quella miniera che sono i social network – e dati che lasciamo ovunque nella rete, spesso senza neanche accorgercene. Agosti mostra uno schema a lisca di pesce con la giornata tipo di un utente: grazie a questa si può dedurre che l’utente in questione è un impiegato nel settore turistico e un appassionato di corse di cavalli. Informazioni che valgono oro per le agenzie pubblicitarie, soprattutto quando queste “lische di pesce” arrivano in maniera aggregata.

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Cosa ha fatto e come funziona Trackography? Anzitutto, ha catalogato una lista – ancora in costruzione – di media locali e nazionali in diversi paesi del mondo. Nell’interfaccia online è possibile scegliere quale paese si vuole monitorare e quale dieta informativa, scegliendo una o più testate. Una volta fatto ciò, l’utente può visualizzare quante unintended connections subisce oltre a quelle da lui volute, ossia quante -ma soprattutto quali – altre organizzazioni ottengono – senza alcun avviso – i dati generati da un’eventuale visita dei siti selezionati, oltre ai siti selezionati stessi. Trackography riesce a far ciò simulando, esso stesso, un browser virtuale, e individudando automaticamente le connessioni che si attivano quando si visita un sito piuttosto che un altro: semplice – e neanche troppo – a dirsi, difficile a farsi, soprattutto dal punto di vista tecnico. Agosti spiega che per ottenere questa mole di dati da analizzare è indispensabile la collaborazione di utenti che mettono a disposizione i loro traffici. Ci mostra inoltre un esempio di utente brasiliano alle prese con un solo sito di un media locale: solo per quello le connessioni indesiderate sono ben 18, tra le quali ovviamente giganti come Google e Facebook, oltre a vari data collector nazionali o regionali.

Un esperimento come Trackography diviene fondamentale soprattutto quando si può arrivare a identificare come vengono sostanzialmente venduti – e a chi – dati di sensibile rilevanza come quelli relativi alla sanità e alla pubblica amministrazione. Dati che anche gli stati ormai non esitano a cedere.

Inoltre, Agosti pone l’accento sul lato geopolitico, di crescente importanza, della questione. Quali sono i giganti virtuali che controllano il maggior traffico di dati? In quali nazioni operano? Quanto contano le normative nazionali e sovranazionali, come quelle dell’Unione Europea – differenti da quelle USA – in questo scenario? Interrogativi che crescono di importanza, ormai giorno dopo giorno, e che mettono in dubbio l’effettiva libertà della nostra esperienza online da qualsiasi tipo di sorveglianza e controllo. Qual è la risposta giusta, quali gli sviluppi da augurarsi? Agosti risponde: “Balcanizzare la rete o, addirittura, nazionalizzare – come suggerisce Mozgov in una delle sue provocazioni – giganti come Google e Facebook, non può essere una risposta. La forza di internet sinora è stata proprio la possibilità di muoversi su un flusso globale e distribuito. Dobbiamo per ora puntare sull’advocacy, sulla sensibilizazzione critica nei confronti dei business models attuali di chi fa tracking, sull’autoprotezione dei propri dati e del proprio traffico grazie a strumenti da installare sul proprio browser come Ghostery, Disconnect and NoScript”.

Monitorare la propria “ombra” (Me and My Shadow è il nome di un altro dei servizi sviluppati da Agosti e altri), informarsi e informare, per il bene delle proprie identità virtuali – e non solo – non sembra più soltanto un optional.