Un anno di balle: il racconto di Marco Travaglio al XIII Festival Internazionale del Giornalismo

Anche per questa edizione il direttore de Il Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, è stato ospite al Festival Internazionale del Giornalismo, al Teatro Morlacchi di Perugia, dove ha raccontato quello che per lui è stato “un anno di balle”, un anno in cui “l’informazione ha fatto degli altri passi da gigante verso la propria estinzione, stanno provando a far sparire il giornalismo e quindi è importante fare un festival per ricordare che il giornalismo è importante e deve sopravvivere a se stesso.”

Per questo racconto ha scelto una forma particolare, una sorta di elenco: dieci punti, ognuno dei quali rappresenta una balla, un’omissione o in generale qualcosa che è andato storto nel modo di affrontare le notizie. Perché purtroppo spesso nel nostro paese capita che “le notizie che non arrivano sono importantissime, mentre quelle che arrivano di più sono del tutto secondarie.” Il primo punto di cui parla più che una balla è un’omissione e riguarda la sentenza sulla trattativa stato-mafia del 18 aprile 2018, riassunta nel libro Padrini Fondatori scritto a quattro mani con Marco Lillo. “Una sentenza – commenta Travaglio – che non è stata minimamente raccontata dai giornali, perché contiene una verità, seppur in primo grado, talmente agghiacciante che evidentemente i giornali si sono assunti la responsabilità di decidere che noi non siamo pronti per sapere certe cose”.

L’attenzione di Travaglio si concentra poi sulla situazione politica ed economica italiana e sulla genesi dell’attuale alleanza tra Movimento 5 stelle e Lega. Un anno fa eravamo alle prese con le trattative per la formazione della squadra di governo. Per mesi si sono cercate tutte le combinazioni possibili per costruire una maggioranza stabile che potesse prendere le redini del paese, e si è deciso di farlo con il sistema proporzionale, tornato in vigore in Italia con la legge Rosatellum. Secondo Travaglio è successa una cosa strana: chi aveva voluto quella legge, cioè il Pd, ha deciso di non giocare con le regole del proporzionale. “Il Pd ha deciso di non giocare nè una partita nè l’altra, si è ritirato sull’Aventino raccontando in maniera abbastanza stupefacente che gli elettori avevano deciso che il Pd dovesse stare all’opposizione. Io non so dove abbiano letto questa cosa, se hanno trovato delle schede con scritto ‘vi voto purchè voi stiate all’opposizione’ “. Dopo le elezioni la situazione era ambigua, o si perveniva ad un governo di coalizione oppure si sarebbe tornati al voto.

Dopo aver scelto di continuare sul governo di coalizione le audizioni di Mattarella continuano e sulla scena inizia a farsi strada il nome di Giuseppe Conte. Come racconta Travaglio, però, i media avevano già deciso che Conte non andava bene. Molto prima che il governo si insidiasse (il primo giugno dell’anno scorso) e molto prima che Conte stesso potesse anche solo esprimere la sua linea d’azione, i titoli dei giornali intervengono su di lui a gamba tesa. Travaglio legge alcuni dei titoli che più dimostrano l’atteggiamento spesso contraddittorio della stampa nazionale: alcuni definiscono Conte “Uno studentello impreparato” o “Pinocchio tra il gatto Di Maio e la volpe Salvini”. In breve tempo ritroviamo, però, altri titoli che sembrano riabilitare la figura dell’allora quasi Presidente del Consiglio. “Ma non sarebbe meglio – si domanda Travaglio – giudicare i presidenti del consiglio quando hanno fatto qualcosa? Invece di decidere prima che comincino a fare o a non fare qualcosa, che sono dei burattini o dei poveracci? Ne guadagnerebbe un po’ la credibilità della stampa. Non si sarebbe costretti a questi picchi di elogi ed esaltazioni alternati a questi abissi di deprecazione.”

Travaglio insiste poi sui giorni immediatamente successivi alla comparsa di Conte sulla scena politica. Tra i nomi della prima lista dei ministri presentata dal futuro premier, salta subito alle cronache quello di Paolo Savona al Ministero dell’economia. La reazione del Quirinale è nota a tutti: un chiaro e fermo no, motivato dalle sue posizioni a prima vista anti euro. “I mercati temono Savona”, è l’annuncio di Mattarella. “A parte che – provoca Travaglio – non si è mai capito dove stiano i mercati nella Costituzione”. Conte non può che proporre un nuovo nome per il ministero dell’economia e Travaglio sottolinea ironico come la scelta sia ricaduta su Tria, suggerito niente di meno che da Savona. Lo stesso Savona finirà poi a coprire gli affari europei. Dal punto di vista economico, in Italia “l’apocalisse ci è stata annunciata per mesi.” Dopo l’insediamento di Conte, le pagine economiche delle maggiori testate titolavano previsioni catastrofiche, che poi non si sono avverate. Travaglio definisce questi titoli “la migliore assicurazione sulla vita di questo governo stravagante”. Questo perché “riuscire a fare peggio delle aspettative che erano state suscitate dai giornali era difficile. Ed è la ragione per cui, oltre alla mancanza di alternativa, questo governo in maniera assolutamente inspiegabile secondo me gode di una popolarità infondata”.

Non poteva mancare nel corso della serata una parentesi dedicata alla TAV, o meglio al TAV come ci tiene a precisare Travaglio: “è un treno, quindi si chiama il TAV!”. Il direttore de Il Fatto è uno dei numerosi autori del libro “Perché no TAV“, che ha riunito alcuni dei maggiori personaggi che si battono da sempre contro questa grande opera. Travaglio definisce i lavori fatti fino a questo momento come dei “buchetti esplorativi: non hanno mai costruito il vero TAV, che è formato da un buco di 60km dentro le Alpi e due tratti di ferrovia di collegamento”, ma non esiste ancora nulla di tutto ciò. Quest’anno “il più alto concentrato di balle si è assiepato intorno al TAV”. In particolare, spiega Travaglio, intorno alle motivazioni che giustificherebbero i i lavori della Torino-Lione non sembra esserci molta chiarezza. Alla domanda “perché fare l’alta velocità?” la risposta spesso è un banale “perché sì” o “per collegarci all’Europa”. “Come se adesso non fossimo collegati”, commenta Travaglio, che auspica la chiusura del progetto, viste le spese esorbitanti richieste. La recente analisi costi-benefici non fa che confermare le perdite previste, così come tutte le analisi degli scorsi anni: “se un’opera è inutile, lo è l’anno prima e pure l’anno dopo!”.

Nella carrellata non sono mancati i riferimenti al fenomeno delle fake news, al reddito di cittadinanza, al crollo del ponte Morandi, ai gilet gialli, a Trump e alla procedura di infrazione della Commissione europea schivata dal nostro paese. Con questo concentrato di balle, Travaglio ha voluto riportare episodi di mala informazione tipicamente italiani, che minano la credibilità della professione giornalistica. “Nonostante questi tentativi quotidiani di estinguerla, l’informazione ancora a macchia di leopardo è riuscita pure quest’anno a sopravvivere. Speriamo che duri fino all’anno prossimo”.