Un italiano a Berlino: conversazione a Valerio Bassan

Foto: Danila D'Amico
Foto: Danila D’Amico

Se alla fine di un panel uno dei relatori ti si avvicina per stringerti la mano e ringraziarti per avergli fatto una domanda, ci sono due possibilità: o la domanda era particolarmente brillante, oppure il relatore è estremamente gentile. Nel secondo caso è probabile che quel giornalista sia Valerio Bassan.

Una laurea in comunicazione, un giornale online da 100mila visitatori al mese e 27 anni. Da dietro al tavolo dove finora ha parlato mi fa cenno con la testa, sorridendo. Ricambio il sorriso e indico due sedie. “Se usciamo è meglio, così posso fumare”, mi dice. Ha già indosso la giacca e cerca nelle tasche le sigarette. “Va bene, usciamo”.

Il clima perugino non è clemente con noi: la pioggia batte sugli ombrelli colorati dei passanti senza sosta e il grigio dei palazzi si mimetizza con quello del cielo. Ci salvano solo i portici fuori dalla sala. Ora che la sua sigaretta è accesa possiamo cominciare. “Vorrei che mi parlassi del Mitte. Insomma, ti sei laureato, ti sei trasferito a Berlino due anni fa e poi cos’è successo esattamente?”, chiedo. “Il Mitte non è quello che sembra: il sito riesce a mascherare bene il fatto che si tratta di una cosa completamente fatta in casa. Hausgemacht dicono i tedeschi. Io scrivo e la mia ragazza si occupa della programmazione. Poi ci sono tutti i volontari”, mi dice sorridendo. Sorride sempre.

“Come mai avete deciso di buttarvi in una simile impresa: un giornale italiano in Germania che parla italiano e racconta di Berlino? È un’idea insolita e potenzialmente rischiosa”.

“Il punto è che a Berlino ormai ci sono circa 25mila italiani che potrebbero volersi informare su quello che succede intorno a loro, ma che magari non possono perché non conoscono la lingua. L’unica alternativa sono i blog, in cui si raccontano le esperienze più strane capitate in giro per la città. Ma noi volevamo fare una cosa diversa, volevamo informare davvero, raccontare le elezioni per esempio”. “Infatti mi chiedevo quale relazione ci fosse tra voi e Berlino Cacio e Pepe, un blog nato un anno prima de Il Mitte”. “Andrea D’Addio (fondatore di Berlino Cacio e Pepe, ndr), così si chiama, è bravo, molto bravo. Mi piace quello che scrive perché, se lo scrive lui, è bello da leggere. Ma lui ti racconta di quello che gli è successo la sera prima, non se vogliono togliere le scritte dei turisti sul muro di Berlino. Anche se ora sta cercando di proporre dei nuovi articoli”.

I suoi occhi sono incredibilmente azzurri e la pelle è quasi bianca. Mi convinco che da un momento all’altro mi dichiari di essere un tedesco vero, un Berliner. Invece mi dice che non se lo aspettava di ritrovarsi tra gli speaker del Festival Internazionale del Giornalismo in qualità di fondatore di un giornale online, per lo meno non così presto, non solo due anni dopo. “Il primo anno abbiamo fatto zero di fatturato. Proprio niente. Ora ci aggiriamo tra i 600-700 euro al mese. Una parte si spende per i costi, tipo la corrente, che per fare un giornale online è indispensabile. Il resto lo dividiamo tra me e la mia ragazza, ma si parla di 200 euro al mese comunque. Non è tanto se pensi che dedichiamo a Il Mitte minimo quattro ore ogni giorno. Anche per questo tutti gli articoli pubblicati sono scritti da volontari”.

“Questo è curioso dato che siamo a una conferenza in cui si discute del fatto che i giornalisti freelance sono sottopagati. Non trovi?”. Non c’è polemica nel tono della mia voce, anche perché un tedesco arrabbiato è una cosa che non si augura a nessuno. “Certo, è vero. Però è anche vero che con il Mitte io non mi mantengo. Io sono un giornalista freelance per i giornali italiani e mi occupo delle relazioni tra la tecnologia e i nuovi modelli di giornalismo. Ma non pagano poi così bene: siamo nell’ordine di 35-50 euro a pezzo. Possiamo fare i nomi?”.

“Almeno ti senti soddisfatto?”, “Sì, per quello sì”, torna a sorridere. “Ancora due domande. La prima: ti piacerebbe tornare in Italia?”. Non mi risponde subito. “Sai, proprio ieri ho ricevuto un’offerta di lavoro in Italia, ma non so ancora. Vuol dire lasciare Il Mitte, non so… Mi dispiacerebbe, dovrei trovare qualcuno a cui affidarlo”, ha la faccia di chi avrebbe voglia di fare quello che gli piace e farlo a casa sua, dove le parole finiscono sempre con la vocale.

“La seconda domanda è legata al tuo lavoro di freelance. Tu scrivi di tutte quelle innovazioni che stanno rendendo il giornalismo multimediale, come Google Glass, un argomento di cui si parla sempre più spesso. E la scrittura invece? Nessuno, in Italia, parla di come dovrebbe evolvere la scrittura giornalistica, magari in una direzione più narrativa come fanno al New York Times o al Guardian. Se io volessi scrivere di te e dire che mentre rispondevi alle mie domande sei arrossito fissandoti le scarpe, secondo te comprerebbero mai il mio articolo? Lo capirebbero?” Sospira.

“Mi piacerebbe tanto dirti di sì. Vorrei dirti di sì, perché se i fatti vanno descritti in modo asciutto, le storie vanno raccontate. Ma temo proprio di doverti dire di no. Non lo capirebbero”.

Valeria Manera
@ValeriaManera