
Nella sala Priori dell’Hotel Brufani, si comincia con l’immagine di un dettaglio. Un oggetto, un particolare che viene mostrato alla platea assorta. Uno zoom che si allarga pian piano, fino a rendere comprensibile il fatto che si sta guardando la facciata di una cattedrale (quella di Notre Dame a Parigi), a una architettura.
Si parla di information architecture e user experience design oggi, nel workshop tenuto da Federico Badaloni Maria Cristina Lavazza e Italo Marconi. Si è parlato di cattedrale (di senso) già due giorni fa. L’aveva fatto il direttore di Repubblica Ezio Mauro sul finire dell’evento di inaugurazione del Festival che ha visto la partecipazione del direttore del Guardian Alan Rusbridger. Nelle battute finali si può ascoltare: “Il giornalismo non è trasformabile in un algoritmo, perché è scritto dall’incontro tra due dimensioni; la dimensione orizzontale della realtà che ti viene incontro e la dimensione verticale di questa macchina della conoscenza che è il giornale, che incontra la realtà, la prende, ne prende porzioni, le più significative, quelle che hanno dentro un deposito di senso, capace di illuminare l’insieme, di dargli un significato, e poi la decritta e la sceneggia sul giornale.”
Il primo a parlare è Badaloni, responsabile dell’architettura dell’informazione nella Divisione Digitale del Gruppo Editoriale L’Espresso. Giornalista dalla formazione umanistica, spiega come si sia passato sul piano professionale da un’esperienza lineare di tempo, spazio e fruizione dell’informazione a quella condivisa, rimbalzata, simile a un grafo. Ne segue che, oggi, la fiducia del lettore è legata al contenuto dell’informazione, non più al contenitore e a frasi da nonne tipo “l’ha detto la tv”.
Badaloni continua con una citazione di J. Arango, “L’architettura dell’informazione è garantire l’integrità strutturale del significato nei diversi contesti” per arrivare a mostrare la prima sperimentazione di questo nuovo modo di pensare l’informazione: Repubblica Spettacoli. L’informazione va pensata come una serie di molecole connesse tra di loro.
La parola poi passa a Maria Cristina Lavazza, vicepresidente di Architecta, che sintetizza il suo intervento, in quanto user experience designer oltre che architetto dell’informazione, nella unica certezza da cui partire prima di progettare qualsiasi nuova forma o nuovo contenitore di notizie: il contenuto. È necessario ripensare però anche il contenuto prima di progettarlo in un modo adeguato e efficace. La content strategy si accompagna dunque allo spacchettamento e riassemblaggio del contenuto a seconda dei vari device, in linea con la crescente strategia del digital first, giungendo infine al design responsivo: il contenuto sarà accessibile e chiaro all’utente da qualsiasi dispositivo, perché il primo si adatta al secondo.
Per arrivare a soluzioni e risultati validi, chiari, che non si rivelino inutili e antieconimici, occorre un po’ di analisi: si faccia uso di tecniche esplorative sugli utenti (interviste, questionari, focus group, osservazione diretta, probes, diari); si prendano, poi, tutti i dati a disposizione provenienti dalla user experience e li si disponga in una mappa in modo da poter diventare un bravo sceneggiatore che inventi personaggi e utenti tipo, i quali agiscono e, attraverso i quali si sperimenta la partecipazione; si accolga, infine, “la responsabilità di ripensare i contenuti”.
Italo Marconi presenta invece la prima versione online di una delle più famose e datate (nel 1939 il primo numero cartaceo) rivista per donne di costume italiano, Gioia. Lui, manager partner di UbiquitiLAB, azienda che fornisce servizi operando in tre settori diversi (publishing, finance e fashion), si sofferma sull’etimologia della parola crisi e ne preferisce l’accezione di malattia, che può essere curata e quindi non per forza porta alla fine. Editori, banche e fashion brand stanno attraversando questo passaggio ma per superarlo, con finale riuscita positiva, è necessario che si concentrino sulla user experience, ponendo al centro delle proprie ricerche le persone.
La redazione che si occupa del femminile online – continua, è la stessa che si occupa del cartaceo: età media alta e scarsa alfabetizzazione digitale. Eppure il contenitore offerto è un esempio di come il contenuto sia curato da un rapporto diretto tra utenti e redattrici.
L’ecosistema di Gioia! è cross-canale, collega attraverso dei ponti i tre canali: webmagazine, cartaceo e mobile. Quest’ultimo è il principale, presente sia su sistema Android che su iOS. Il concept, derivato da lunghi studi di psicologia che ha coinvolto un variegato team (architetto dell’informazione, redattrici, responsabile del prodotto, settore strategia commerciale) è espresso dal contenuto ma anche dal contenitore. È il mood, le emozioni delle lettrici rappresentate su tabella cromatica: si va dalla gioia alla noia, dal fucsia al nero, passando per creatività o stress, colorandosi di arancio o di blu. L’architettura del prodotto si arricchisce di post che le lettrici possono creare. Questi possono essere di tre tipi, con essi si può sviluppare una nuova narrazione: foto o immagine, testo scritto, quote. Marconi mostra il video che presenta la nuova piattaforma, un simpatico e innovativo modo di costruire contenuto e contenitore.
In dirittura d’arrivo, Badaloni si sofferma sull’importanza dei tag da non confondere, sottolinea, con le parole chiave e sulla base di qualsiasi architettura d’informazione: gli archivi. Indispensabile è tenerli ordinati e chiari, ancora una volta è un lavoro umano e non affidato a un freddo calcolo da web, almeno non solo. Cita testate quali El Paìs, The Guardian, The Huffington Post per la presenza, al loro interno, di una redazione che cura esclusivamente i tag. A tal proposito offre alla platea giornalistica qualche suggerimento per un tagging efficace: avere uno sguardo diacronico, preferire l’universale al particolare, pensare alla longevità dell’argomento, non usare abbreviazioni, e infine, sempre meglio uno in meno che uno in più ma a sproposito.
Conclude Badaloni: “Ogni pagina ha una funzione narrativa e l’homepage è solo quella pagina dove vuoi che il lettore ritorni. Non sai quanto tempo può spenderci sul sito ma sai che se si è instaurato un rapporto di fiducia, il lettore ci ritornerà”.
Luisa Chiaese
@LuisaChiaese