Where are you? Le storie di National Geographic dietro la fotografia icona della crisi dei migranti

È l’estate del 2014, il fotografo Massimo Sestini scatta una foto di un barcone di migranti che diventa simbolo della crisi migratoria nel Mediterraneo. Quasi cinque anni dopo, il clamore attorno alla questione migranti non si è spento ma è anzi cresciuto, migliaia di persone continuano a rischiare la vita in mare ogni giorno. Un appello sul web – “Where are you?” – lanciato nel 2016, viene raccolto da National Geographic che decide di raccontare questa storia di disperazione e speranza con un documentario e una cover story sulla sua rivista mensile. Di questo si è discusso nel pomeriggio di mercoledì 3 aprile, per la prima giornata dell’International Journalism Festival a Perugia, con Andrea Bosello, Marco Cattaneo, Fabrizio Gatti e Massimo Stestini.

La storica fotografia di Massimo Sestini che in questi anni ha documentato la tragedia dei migranti troneggia sul grande schermo al centro della Sala Raffaello del Hotel Brufani. A colpire non è solo la particolare prospettiva perfettamente perpendicolare della foto, ma l’espressione dei vari passeggeri: i loro volti, immersi nel blu del Mare mediterraneo, sono rivolti all’insù, ci guardano pieni di gioia e fiducia, ci spingono ad una attenta riflessione per comprendere l’evento in maniera più profonda ed obiettiva, senza ricorrere alla tipica drammaticità a cui siamo abituati.

Sarà Marco Cattaneo (direttore di Le Scienze e di National Geographic Italia) poco dopo le 16 ad aprire la discussione, presentando i vari protagonisti del panel, lasciando proprio a Massimo Sestini la parola e il primo intervento. Il fotografo ha così raccontato il suo desiderio di scattare una foto di gruppo con un zenit perfetto. Il vincitore del World Press Photo prosegue spiegando che la celebre immagine è frutto di un duro lavoro dove l’improvvisazione non può trovare spazio: sono infatti serviti vari tentativi e molto tempo prima dello scatto perfetto, arrivato dopo più di un anno di sforzi solamente il 7 giugno del 2014. Lo scatto è avvenuto al largo della costa libica, grazie alla collaborazione della Marina Militare Italiana, che attraverso una complessa operazione aerea, ha consentito al fotoreporter di cogliere di sorpresa gli occupanti del barcone catturando la loro più genuina spontaneità, permettendoci dunque – attraverso una visione zenitale dalla giusta distanza e ad un’ottimale condizione atmosferica – di poter apprezzare i moltissimi dettagli, regalando al Mondo intero uno scatto non artefatto, ma vero e pieno di personalità.

Sestini non si è limitato a raccontare l’operazione di salvataggio. La necessità di costruire una nuova chiave di lettura dei fenomeni migratori si trasforma pian piano in una vera e propria missione per il famoso fotografo. Come sappiamo, la foto in poco tempo diverrà virale, inondando le copertine di riviste e giornali, trasformandosi infine in un vero e proprio simbolo. Così, grazie alla notorietà acquisita, un immigrato riuscirà a riconoscersi guardando l’immagine e non è passato molto tempo per far balenare nella mente del fotografo italiano l’idea di proseguire il proprio lavoro ampliandolo in direzione di un solo obiettivo: ritrovare quei migranti, in tutta Europa, per scoprire le loro storie e le loro nuove vite. Nasce così il progetto “Where are you?” per raccontare i sogni e le speranze altrimenti invisibili agli occhi dell’opinione pubblica, in una prospettiva di ampio respiro multidisciplinare coinvolgendo diverse figure professionali con un solo motto: provarci sempre e non desistere mai.

Successivamente è intervenuto Andrea Bosello, Executive producer di Fox Networks Group Italy, che ha esposto il documentario in uscita il prossimo 20 giugno su National Geographic Channel (Sky, canale 403) in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato. Lavoro, come ci tiene a precisare, patrocinato dall’UNHCR, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Alla base del documentario intitolato “Where Are You? Dimmi Dove Sei”, con la regia di Jesùs Garcès Lambert, c’è l’idea che dietro ad una grande foto c’è anche una storia importante, capace di superare la cronaca e il chiacchiericcio della politica con uno sguardo non banale, ma focalizzato sulla narrazione umana.

L’evento è stato poi arricchito dalla proiezione di diversi videoclip che hanno aiutato il pubblico ad immergersi ancora più intimamente nell’atmosfera, stimolando il dibattito e il confronto. Le varie interviste emozionano per semplicità e umanità. I protagonisti vengono così sottratti dall’immagine classica e stereotipata attraverso voci autorevoli che si affidano a dati e fonti reali, dipingendo una realtà totalmente differente da quella che ci viene presentata quotidianamente. Scopriamo così che oltre l’85 per cento dei 70 milioni di rifugiati è a carico dei paesi in via di sviluppo e che solo il 15 per cento di loro arriva in Europa.

La discussione prosegue con la proiezione di una intervista singola. La protagonista è Hajar Ashick, una ragazza siriana di 21 anni proveniente da Homs (un’antica città a nord di Damasco) che vive attualmente a Neuwied in Germania. I ricordi della giovane colpiscono per l’estrema lucidità e chiarezza, strappando un sorriso sincero agli ospiti della Sala Raffaello quando confiderà alla telecamera che la riprende tutto il suo stupore, scoprendo di essere in una foto che era divenuta tanto popolare, in particolar modo sui vari social network. Ma ciò che più colpisce è la reazione di Hajar una volta appreso quanto una singola fotografia possa essere potente e capace di stimolare molteplici emozioni, decidendo così di condividere la storia del suo viaggio. Il video termina con Hajar orgogliosa di mostrare la sciarpa che aveva indosso quel giorno e che ancora custodisce gelosamente da allora, come testimonianza non solo per lei ma per tutti noi.

A proseguire è Fabrizio Gatti, giornalista de L’Espresso. Gatti ci ha tenuto a paragonare il viaggio dei migranti ad una seconda nascita, essendo quest’ultimo per natura un evento traumatico, che si tende quasi sempre a cancellare dalla memoria.  Ha proseguito, sottolineamdo l’importanza della sensorialità, capace di guidare gli autori del documentario: odori, profumi, sapori e colori che vengono restituiti al pubblico anche attraverso le parole. Con una seconda clip, si assiste ad una video-intervista ad un ragazzo del Gambia che vive qui in Italia. Il ventenne parla dei pericoli che si corrono in Libia e della nostalgia che prova nei confronti della sua famiglia.

Il dibattito si è spostato infine sulla difficoltà di rintracciare i protagonisti della traversata, traguardo raggiunto grazie ad un grande lavoro collettivo e, in particolar modo, grazie alla guida di una visione che ha sempre avuto a cuore l’umanità – non a caso sono state ricordate le famose parole di Vittorio Arrigoni: “Stay Human, restiamo umani” . Un grande lavoro che è riuscito nell’intento di donarci un’opera documentaristica dignitosa. Prima di lasciare spazio alle domande è stato invitato a salire sul palco il regista messicano Jesùs Garcès Lambert, che ha sottolineato l’importanza di narrare storie come questa, “una storia non urlata, ma bisbigliata”.