Hate speech e libertà di parola ai tempi di internet

Foto via @Utopia_lab

In 60 secondi in rete passano circa 204mila mail, 216mila foto su Instagram, 2 milioni e mezzo di contenuti su Facebook , 277 tweet. I numeri non lasciano dubbi sul fatto che internet sia il più grande mezzo di comunicazione di massa nella storia dell’umanità. E’ chiaro che tra i 2,4 miliardi di utenti c’è chi ne fa un uso buono o uno cattivo. Internet non è un oggetto ma uno strumento, come tale si può prestare a diversi usi. Tutti questi argomenti sono stati al centro del panel “Hate speech e libertà di parola” tenutosi domenica 4 maggio alle 10,30 nella sala Raffaello dell’hotel Brufani. Relatori dell’incontro sono stati Antonello Soro, presidente dell’Autorità garante per la privacy, Laura Bononcini, responsabile relazioni esterne di Facebook Italia, Antonio Nicita, commissario dell’AGCom, Stefano Quintarelli, deputato di Scelta Civica ed esperto di web, e Peter Gomez, direttore de ilfattoquotidiano.it. Moderatore è stato Guido Scorza, presidente dell’Istituto per le politiche dell’innovazione.

Secondo Antonello Soro non è necessaria per forza una legge che regolamenti i comportamenti sul web. “Prima di una legge servirebbe conoscere meglio ciò che si cerca di regolamentare. Bisogna rifuggire la tentazione di soluzioni repressive per privilegiare un ‘diritto mite’. E’ tempo di riflettere su come riconoscere e prevenire gli illeciti. Alcuni di questi sono già disciplinati dalla legge, altri sono più difficili da interpretare dal punto di vista penale. E’ un tema complesso e articolato che ha radici culturali e sociali profonde. Lo sforzo normativo non può prescindere dal ruolo della famiglia e della scuola”.

Anche Antonio Nicita è stato concorde nel pensare che la soluzione non sia nel diritto. “C’è molta attenzione sul tema e molti approcci diversi. La difficoltà sta nel far rientrare internet nella regolamentazione di media come radio o tv. E’ un unicum e come tale va trattato. Forse la soluzione sta nell’autoregolamentazione, magari segnalando best practices nell’uso del mezzo o, viceversa, i comportamenti scorretti”.

Oltre a confermare l’importanza di scuola e famiglia nell’educazione al mondo digitale, Stefano Quintarelli, presente in collegamento Skype, ha sottolineato i due errori nella comunicazione sul web verso la gente. “Da un lato si fa credere che manchino le leggi. Le leggi non mancano, anzi vengono fatte rispettare ed anche celermente. Un altro errore comune è pensare che su internet si possa restare completamente anonimi. Esiste l’incognito, ma celare completamente la propria identità è impossibile”.

Secondo Peter Gomez, se il Paese è quello di Genny ‘a carogna – riallacciandosi ai recenti fatti di cronaca  – non dobbiamo stupirci se poi parte di quella violenza si ritrova in rete. Se l’Italia parla male, è maleducata, questo si replica sul web. E dipende in primis dagli adulti dare l’esempio, fermare il turpiloquio sia reale che virtuale.

Gli ultimi casi di cyberbullismo che hanno portato alcuni adolescenti a suicidarsi hanno fatto puntare il dito contro i social network. Molti si sono chiesti quali responsabilità siano da attribuire a Facebook o ad altri social e cosa dovrebbero fare i social dal canto loro per frenare questi fenomeni di violenza sul web. “Facebook è un’enorme agorà, la cui mission è connettere tutte le persone tra loro. E’ nostro dovere tutelare gli utenti iscritti, ma non è sempre facile. In Facebook abbiamo un team di persone formate ad hoc per vagliare le segnalazioni di contenuti inappropriati che ci arrivano e rimuovere i contenuti offensivi. Poi esistono vari strumenti, a partire dalle regole che chiunque deve accettare all’atto dell’iscrizione nella community di Facebook. Tra queste c’è anche la nostra policy contro l’anonimato in rete. Chi pubblica su Facebook deve anche metterci la faccia, assumersi le responsabilità dei contenuti”.

Michele Pasculli
@PasculliMichele