Scrivere e vivere gratis: una vita come Luca Sofri

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“Quest’anno mi occupo di editing: formatto il testo dei pezzi sul magazine del Festival, li correggo, inserisco tag, foto e titolo”. Silvia ha 23 anni ed è al suo terzo giro come volontaria del Festival. “Quest’anno finalmente ho imparato a embeddare i video” (inserire i video dentro gli articoli).

Silvia è di Napoli, è felice di come si siano trattati tanti temi dell sue parti, come il partecipatissimo – e acceso – panel sulla Terra dei Fuochi. “Come fai a sapere di Bagnoli se non ci sei mai stato? Loro sono stati bravi perché sono andati a pungere più che sul passato su fatti concreti”.

“Il primo anno ero alla logistica, mi piaceva perché alla fine potevi veder molti panel e avevi anche tempo libero. Ora al magazine sono attaccata alla scrivania da giorni e passano tutti a chiedermi: ANCORA QUI?!”

Silvia sta finendo la specialistica a Siena. Ha scritto per tanti giornali, tra cui L’Indro, che non l’ha mai pagata, e ora scrive per Comunicare il sociale. Loro la pagano a pezzo.

E ora che fai?

“Aaaaahhhhhh… (sospiro). Questa è la solita domanda dopo quanti esami ti mancano, quando ti laurei”, dice. “Penso che andrò a fare un master di un anno all’estero, forse in Inghilterra, tanto qui c’è poco da fare”.

“Sono un po’ sfiduciata”, aggiunge.

Luca Sofri, direttore de Il Post, ha detto al suo panel: “Io non credo che il lavoro debba sempre essere pagato“. Era un intervento dentro un discorso più articolato, certo, probabilmente una provocazione (Ho chiesto delucidazioni ma per ora nulla).

Eppure… al Festival in tanti panel si è parlato di precari, giornali che chiudono, giovani non pagati. Un’affermazione di questo tipo, fosse pure una provocazione, sembra davvero un insulto gratuito (anche questo) a chi non lo merita proprio. I più giovani, i più danneggiati dalla crisi dell’editoria, chi paga il prezzo più alto.

Dice Silvia: “Lavorare gratis? Io l’ho fatto e poi me ne sono pentita. Mi è capitato di lavorare tutti i giorni per due o tre mesi seguendo le elezioni e mi avevano promesso quella volta sarei stata pagata. Mi hanno dato una busta con 50 euro”.

Lavorare gratis, vivere gratis. “Col ragazzo che mi viene a trovare quando può da Napoli a Siena, e ora pensare di trasferirmi in Inghilterra. Senza lavoro, senza prospettive di venire pagata com giornalista. E sai quanti ne trovo in bus e sui treni con storie come la mia…”

“… ma che vita è questa?”

di Michele Azzu
(Foto: Roberto Baglivo)